Cucchi, l’Anm contro le «insinuazioni» degli imputati sul processo bis
Giustizia La procura di Roma interroga un altro carabiniere della caserma di Tor Sapienza
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La crepa, apertasi nel muro di omertà che in questi nove anni ha sequestrato la verità sulla morte di Stefano Cucchi, sta permettendo al pm Giovanni Musarò di progredire nell’inchiesta integrativa al processo bis che vede imputati cinque carabinieri. E proprio per questo non si fermano le violenze verbali, le minacce e le pressioni su Ilaria Cucchi (come gli insulti postati su Fb dal coordinatore cittadino della Lega di Pontecagnano Faiano, Salerno) e sui tre militari che con la loro testimonianza hanno permesso la riapertura delle indagini.
Ieri è stato ascoltato in procura il carabiniere Gianluca Colicchio, che ebbe in custodia il giovane geometra nella caserma di Tor Sapienza insieme al collega Francesco Di Sano, il militare che il 17 aprile scorso davanti ai giudici ha ammesso di aver dovuto ritoccare il verbale per ordini «gerarchici», nascondendo le reali condizioni di Cucchi. La denuncia in procura del vicebrigadiere Francesco Tedesco contro i suoi due colleghi co-imputati accusati del pestaggio, Di Bernardo e D’Alessandro, è successiva. Eppure contro di lui si sono scatenati in tanti.
L’avvocato Bruno Naso, difensore del maresciallo Mandolini, allora comandante della caserma Appia alla quale appartenevano i carabinieri che arrestarono Cucchi e imputato per calunnia e falso nel processo bis, ha accusato il difensore di Tedesco di aver stretto «inconfessabili accordi» con il pm.
Ieri è arrivata la reprimenda dell’Anm: «Gravi insinuazioni che mirano ad offuscare la indiscussa professionalità e la specchiata correttezza di esponenti dell’ufficio di Procura, impegnati unicamente a far accertare la verità dei fatti».
«Giù le mani dal mio processo», è stata costretta a ribadire Ilaria Cucchi ieri su Radio Capital riferendosi ancora all’incontro avuto con il generale Nistri: «Ho visto militari in divisa venire a testimoniare e balbettare, tremare. Chiedo: i carabinieri chiamati a testimoniare con quale spirito vengono, si mettono seduti e raccontano quello che sanno, visto come sono stati trattati i colleghi che hanno parlato?».
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