Martedì, il governo degli Stati Uniti ha di nuovo incluso Cuba nella “lista nera” dei paesi che non collaborano contro il terrorismo. Si tratta di una misura di politica internazionale che danneggia il governo e il popolo cubano. Soprattutto di una misura punitiva che non è giustificata da alcuna prova che Cuba mini la sicurezza degli Usa.

Dopo alcuni segnali di distensione, l’amministrazione del presidente Joe Biden resta allineata a quella di Donald Trump in una politica che in più occasioni Biden aveva denunciato e dichiarato di voler rettificare, riprendendo il processo di normalizzazione con Cuba iniziato da Obama nel dicembre 2014.

L’ACCUSA a uno Stato di essere «patrocinatore del terrorismo» comporta conseguenze in due aree fondamentali, le sanzioni economiche e la sovranità nazionale. Le conseguenze delle sanzioni sono evidenti: imprese e investitori Usa temono che qualsiasi accordo con Cuba, anche quelli tecnicamente possibili (salute, ecologia), siano sanzionabili. Gli imprenditori di altre nazioni possono essere esposti (come lo sono stati finora) a azioni legali negli Usa. Viene violato in questo modo per Cuba un diritto del quale godono tutti gli Stati sovrani: l’immunità di fronte alle corti di giustizia degli Usa.

La decisione dell’amministrazione Biden riduce la possibilità di dialogo politico tra le due nazioni, un processo oggi richiesto con forza dalle principali diplomazie latinoamericane. Per questioni di politica interna, Biden accresce la crisi tra gli Usa e l’America latina, quanto meno con i leader più pesanti: i presidenti di Brasile, Messico, Cile, Argentina, Colombia, ovvero dei paesi che costituiscono la spina dorsale della “nuova ondata progressista” del subcontinente, hanno di recente ribadito la richiesta che gli Usa pongano fine immediata all’embargo contro Cuba.

Sempre per politica interna – le prossime presidenziali nelle quali Biden sarà ricandidato – l’amministrazione Usa, dietro una retorica a favore della democrazia e del rispetto dei diritti umani, si arroga il diritto di decidere quale deve essere la direzione politica dell’isola, e per punire il governo socialista provoca miseria e fame.

IL SESSANTENNALE blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati uniti è la principale causa della crisi che oggi attanaglia Cuba, forse la più grave dalla Rivoluzione del 1959. Ma non è l’unica. Anche errori nella programmazione economica dell’attuale vertice politico, quello succeduto ai Castro, vi hanno contribuito.

Su questo è in corso un dibattito nel partito-governo-stato, che si evince da varie pubblicazioni. La nuova ingerenza Usa offre argomenti e giustificazioni alla componente che priorizza la «difesa dall’aggressione straniera» alla necessità di riforme urgenti.