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Cuba meticcia e déco

Cuba meticcia e décoL'edificio Bacardi a L'Avana

Il libro «L'Avana déco» di Alessandra Anselmi: un percorso tra arte, cultura, e storia

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 2 ottobre 2021

Cuba è realtà di frontiera per definizione. La lunga dominazione spagnola ha lasciato le orme della civiltà europea. La cultura africana, introdotta dagli schiavi deportati nell’isola, ha potuto mescolarsi con il tempo con quelle preesistenti e successive. Il dominio economico statunitense fino al 1959, anno della rivo sciato altre impronte. C’è pure qualche decennio di influenza sovietica (per fortuna esistono pochi esempi del «realismo socialista» che a Cuba non ha mai messo radici per la prevalenza del surrealismo caraibico). Perfino la presenza cinese e araba, seppure minoritaria, ha lasciato il segno. Quest’isola è perciò un intreccio di modernità e tradizione alla perenne ricerca delle radici della propria identità che resta in bilico tra quella di almeno quattro continenti. Quindi, non destino sorprese le consistenti tracce di art déco.

La premessa è d’obbligo per segnalare il libro di Alessandra Anselmi, già docente di Storia dell’Arte presso l’Università della Calabria, che ha patrocinato il volume, e attualmente in servizio presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Si tratta di L’Avana déco, il cui sottotitolo arte cultura società indica l’ampiezza e la profondità della ricerca dell’autrice che ha vissuto lunghi periodi a Cuba (Gangemi editore, pp. 452, euro 80, 00). È una sorta di enciclopedia visiva e testuale. È un volume – occorre precisarlo – in formato coffee table book. Colma un vuoto nella bibliografia del déco, ma è anche un testo di gradevole lettura e visione per gli intenditori di cultura e cose cubane. Un vera chicca, inoltre, per gli appassionati d’arte in genere.

Pochi sapevano, fino all’uscita di questo libro, che L’Avana conserva un patrimonio art déco quasi ignorato dalle ricerche internazionali e poco valorizzato nella stessa Cuba. La peculiarità del volume in questione sta proprio nella sua esaustività sul tema oltre a mettere insieme tutte le arti visive definibili déco.

«Le manifestazioni artistiche – si legge infatti nella presentazione editoriale del libro – sono inserite nel contesto storico nel quale sono state create, con un approccio interdisciplinare di ricerca, che mette in luce il rapporto tra opere, società e cultura. Inoltre, le preziose testimonianze che ci offre L’Avana sono messe a confronto con le analoghe manifestazioni elaborate a Parigi e New York, città con le quali Cuba ha avuto più numerosi e frequenti contatti».

Nell’isola, va annotato, l’art déco ebbe il massimo splendore negli anni Venti e Trenta, con la singolarità della contaminazione nei confronti della tradizione dell’arte coloniale. Quella è una periodizzazione complicata nella storia di Cuba, dal 1925 al 1933 alle prese con la brutale dittatura di Gerardo Machado che ha avuto come unico merito quello di non ostacolare il fervore degli architetti che si tradusse in magnifiche opere déco e, in altri casi, eclettiche.

Pure nel déco cubano sono presenti elementi di ricerca identitaria che è una costante della cultura cubana. Fernando Ortiz fu tra i primi ad avviare la ricerca etnologica sull’identità (cubania). Insieme con Alejo Carpentier, sostenne che Cuba è la prefigurazione di una società ideale: qui tutte le razze e le culture si sono mescolate tra loro senza negare e calpestare l’una o l’altra, fino a produrre nuovi profili identitari. Affonda in tale tradizionale ricerca uno degli altri tratti della modernità cubana, se si fa il confronto con quanto sta accadendo in Europa di fronte alla massiccia emigrazione dal Terzo mondo.

Lo scrittore e poeta Roberto Fernández Retámar, nel suo saggio Calibano (Ponte alle Grazie, 1992), ha poi spiegato con efficace metafora come bisogna riferirsi al tema dell’identità cubana: se in La tempesta William Shakespeare, forse testo ambientato nella stessa Cuba, inventa il personaggio di Calibano come «diversità da cui proteggersi», proprio Calibano finisce per incarnare il mito della positiva alterità di chi guarda al meticciato come fonte della propria identità. Nicolas Guillén, il «poeta nazionale» di Cuba, aveva già fornito il giusto retroterra per quella metafora incorporando la cultura mulatta nella cultura cubana.

Il pittore Wifredo Lam ha invece tradotto nella sua pittura surrealista l’ossessione della ricerca meticcia riportando la relazione con la natura dei Caraibi a quella con l’Africa. Tutto questo lavorio culturale si è aggiunto all’insularità come ulteriore elemento definitorio dell’identità di Cuba. Il rapporto tra déco e arte coloniale si colloca in tale contesto.

A impreziosire il libro ci pensa la presentazione di Eusebio Leal Spengler, storico cubano di fama mondiale, morto prematuramente nel 2020, a lungo responsabile dell’opera di restauro della zona coloniale della capitale cubana (La Habana vieja). Leal scrive di «libro eccezionale» con «sguardo interdisciplinare», che dedica particolare attenzione all’Edificio Bacardi, sede della distilleria di produzione dell’omonimo rum, esempio raffinato di art déco perfettamente conservata.

Con il metodo d’indagine adottato da Anselmi si mette in rilievo infine l’originalità dell’art déco cubana con la sua mescolanza di stili e di influenze. Si va dagli edifici alle vetrate, dagli oggetti alla grafica raccolti e analizzati con completezza nell’apparato iconografico. Ciò è stato possibile grazie alla ricerca dell’autrice che ha visitato musei, collezioni private, abitazioni dove restano i segni di quello stile, oltre all’unificazione di fonti e bibliografia accuratissime e a immagini tratte da riviste d’epoca o da fotografie scattate magistralmente ad hoc (la maggior parte di queste è a cura di Alfredo Cannatello e Julio Larramendi).

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