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Cuba, il prezzo del successo contro il Covid-19

Cuba, il prezzo del successo contro il Covid-19L'Avana Vecchia, 8 giugno 2020 – Ap

Malgrado 60 anni di strangolamento economico Gli ottimi dati della lotta interna al Covid-19 e il ritorno della brigata medica Henry Reeve dalla Lombardia confermano il primato cubano sul mito del mercato. Il guastafeste resta Trump

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 12 giugno 2020

«Rappresentate la vittoria della vita sulla morte, della solidarietà sull’egoismo, dell’ideale del socialismo sul mito del mercato». Non sono suonate retoriche le parole pronunciate dal presidente Miguel Díaz-Canel al personale medico cubano della brigata Henry Reeve che rientravano dalla Lombardia. L’applauso della gente al loro arrivo le confermava.

 

I medici della Brigata Henry Reeve di ritorno all’Avana

 

LA POLITICA DEL GOVERNO cubano per contenere il contagio del Covid-19 è stata ed è efficace. I numeri parlano chiaro: mercoledì scorso (10 giugno) era l’11mo giorno senza vittime, mentre i casi confermati di contagio erano sei, tutti asintomatici e “individuati” grazie ai tamponi (2.344) effettuati il giorno prima tra la popolazione a rischio.

Dunque hanno funzionato le misure di prevenzione adottate: isolamento in casa nei quartieri più a rischio, distanziamento sociale, mascherine, chiusura delle scuole e di tutte le attività non essenziali e del trasporto pubblico. Più una serie di medicamenti di produzione locale distribuiti gratuitamente che rafforzano la risposta immunitaria e aiutano a contenere le conseguenze del contagio. Da marzo sono stati registrati 2.025 casi di persone contagiate, delle quali – a mercoledì scorso – 1880 erano state dimesse come guarite, mentre le vittime totali erano 83.

SE SI CONFRONTA questa situazione con quella del Cile – che ha quasi lo stesso numero di abitanti di Cuba – la differenza è impressionate: 148.500 contagiati e quasi 2.500 morti. E queste cifre si riferiscono a un paese che è il fiore all’occhiello dei Chicago boys e della loro politica neoliberista propagandata come salvezza (nonostante il primo sponsor sia stato Pinochet) per tutto il subcontinente latinoamericano.

ALLE CIFRE DEL CONTENIMENTO del coronavirus si aggiunge un altro dato che impressiona e testimonia favore di Cuba: l’invio di missioni di personale medico in 28 paesi, tra le quali anche quella in Italia. Una piccola isola con undici milioni di abitanti oggetto da 60 anni di un blocco economico, commerciale e finanziario, che oggi l’amministrazione Trump ha rafforzato con l’intento di strangolarne l’economia, invia in tutto il mondo centinaia di medici e infermieri a combattere il Covid-19.

[do action=”citazione”]Un esempio di solidarietà che per molti dovrebbe essere premiato con il Nobel per la Pace. Ma che per gli Usa (quasi 1,5 milioni di contagiati) rappresenta un confronto umiliante.[/do]

Tanto che sia il Dipartimento di Stato con il suo falco Mike Pompeo, sia gli alleati e le organizzazioni, direttamente o meno, nel libro paga di Washington si ostinano a tentare di diffamare, definendo medici e infermieri cubani come «schiavi» affittati da un «regime dittatoriale». I pazienti di Crema assistiti dai medici cubani dovrebbero dunque vergognarsi di essere stati curati da «schiavi» e non aver preferito correre il rischio di lasciarci la pelle pur di difendere la libertà made in Usa.

PER QUESTI SUCCESSI Cuba paga alti costi, economici ma anche sociali. L’economia dell’isola era già in gravi difficoltà prima della pandemia a causa dello strangolamento finanziario,economico e sociale messo in atto dall’Amministrazione Trump. Dopo quasi tre mesi di paralisi del paese la crisi è ancor più grave. Le casse del governo sono quasi a secco; le principali fonti di ingresso di valuta – turismo e rimesse – bloccate dalla Covid-19 e dalle sanzioni Usa; la produzione di beni di esportazione ridotta dalla pandemia.

L’ISOLA – e questa è una delle debolezze del socialismo cubano – dipende dall’importazione di generi alimentari per soddisfare le esigenze della popolazione (nel 2018 il governo ha speso circa 2 miliardi di dollari). In crisi di valuta, il governo ha drasticamente ridotto tali importazioni. Molti generi di prima necessità scarseggiano e grandi sono le file davanti ai negozi o alle bodegas (dove si vendono prodotti calmierati). Alcune – per pollo e prodotti di igiene – possono durare anche anche più di un giorno, producendo ansia (alle volte alla fine della coda il prodotto richiesto è finito) e malessere. In queste code, nonostante siano regolate da polizia o militari in funzione di polizia, spesso le misure di distanziamento sono impossibili da rispettare.

 

Una coda all’Avana (Foto Ap)

 

 

Ma da giorni sono introvabili anche prodotti essenziali alla dieta locale come il boniato, la patata dolce, e i pomodori e scarseggiano persino le banane. Segnale evidente – come ve ne fosse bisogno – dell’inefficienza di Acopio, il monopolio statale di commercializzazione dei prodotti agropecuari. Tanto che il presidente Díaz-Canel ha messo in chiaro la necessità sia di riformare Acopio, sia di trovare forme alternative per la commercializzazione (e dunque per i prezzi) dei prodotti agricoli.

[do action=”citazione”]La pandemia ha così reso ancor più urgente la necessità di «modernizzare» il socialismo cubano.[/do]

Si tratta di riforme in gran parte già delineate da una serie di documenti stilati dopo dibattiti che hanno coinvolto quasi tutta la popolazione, approvati dall’Assemblea nazionale e i cui strumenti di attuazione sono supportati anche dalla nuova Costituzione (aprile 2019). Ma ancora in mezzo al guado.
I temi centrali di tali riforme sono oggetto di dibattito – anche in rete – da mesi: riforma monetaria, per eliminare le due monete in circolazione, legge sulle imprese che comporti una decentralizzazione delle impese di stato e sulle Piccole e medie imprese (che ne formalizzi la forma giuridica e dunque la possibilità di importare ed esportare), legge sugli investimenti esteri (apertura anche ai cubani all’estero), priorità alla produzione che sostituisce le importazioni.

L’ECONOMISTA (E ACCADEMICO) Julio Carranza ha recentemente ribadito che l’economia socialista non comporta la soppressione del mercato, nè della proprietà privata ma la subordinazione dell’interesse privato a quello pubblico, del mercato alla società. «In questa situazione internazionale in cui il capitalismo – come sistema globale -, specie nella sua versione neoliberista, ha dimostrato di essere incapace di proteggere gli interessi della grande maggioranza della popolazione mondiale, oltre alla sostenibilità ambientale del pianeta, l’alternativa socialista è difficile, però non solo è necessaria ma è anche possibile». Cuba è chiamata a dare il suo contributo.

 

 

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