Manca la farina a Cuba. Per tutto il mese di marzo si prevede scarsità di pane. L’annuncio dato dal governo la settimana scorsa, ha già provocato l’allungamento delle file di fronte alla panetterie di stato.

Di certo, la popolazione dell’isola non aveva bisogno di stringere ulteriormente la cinghia. I prezzi dall’inizio dell’anno sono in costante aumento, come pure le quotazioni del dollaro e dell’euro nel mercato informale delle valute: il primo si attesta attorno ai 300 pesos, il secondo 10 pesos in più. Ormai più del doppio del cambio ufficiale. Con conseguenze catastrofiche per pensionati e bassi livelli salariali. Il salario medio è attorno ai 4.500 cup, con il quale è un’impresa quasi disperata arrivare alla fine del mese (l’economista Omar Everleny calcola che il costo dell’alimentazione di una famiglia supera i 19.000 pesos). L’annuncio di una scarsità di pane nella canasta basica, il paniere di prodotti forniti a prezzi fortemente sussidiati dallo stato, è dunque una mazzata.

Le ragioni sono quelle di sempre. Il blocco economico-commerciale e finanziario degli Stati uniti impedisce un regolare rifornimento di prodotti base. Così, dei cinque mulini esistenti nell’isola solo uno sta lavorando. Quello di Cienfuegos che produce 250 tonnellate di farina al giorno, di fronte a un bisogno di 700 tonnellate «per soddisfare la canasta basica e assicurare il rifornimento per l’assistenza pubblica i più bisognosi«. Per correre ai ripari, «in attesa di ripristinare rifornimenti regolari», si attingerà al casabe, farina di yucca da aggiungere per fare il pane.

SULLE «CONDIZIONI ESTERNE» della crisi, ovvero soprattutto l’embargo Usa, c’era poco da illudersi in un anno elettorale negli States, dove la questione cubana è vista soprattutto come un problema di sicurezza interna (immigrazione).

MA BEN POCHI dubitano che la estrema gravità della crisi economica – forte indebitamento, alto deficit fiscale, scarsa produzione di beni e alta inflazione – abbiano anche cause interne. Ovvero – così predicano da molti mesi economisti come il decano della facoltà di economia dell’Università dell’Avana, Juan Triana Cordoví – «dalla mancanza di cambiamenti fondamentali tanto nella struttura economica come nella sovrastruttura del paese».

Triana, in un recente articolo nella rivista online OnCuba, ricorda che fu lo stesso Fidel Castro che «nella primavera del 2010 in affermò che il modello (di socialismo) cubano già non funziona» per Cuba. Il professore universitario mette in chiaro che questa affermazione «non significava per nulla rinunciare all’essenza della Rivoluzione», ma che Fidel intendeva appoggiare «il nuovo sforzo verso riforme» iniziato dal fratello Raúl, che lo aveva sostituito alla presidenza della Repubblica e alla guida del Pc cubano.

La necessità di riformare si espresse in una serie di documenti – i Lineamenti e la Concettualizzazione di un nuovo modello, seguiti in tempi più recenti dal Piano nazionale di sviluppo – che sono rimasti in buona parte ben lontani da quei «cambiamenti imprescindibili che permettano al paese la via della crescita» e a una «più che necessaria trasformazione della produzione».

LA RAGIONE fondamentale della mancanza di riforme di struttura è dovuta per Triana, ma anche per altri economisti e analisti, «a fattori esterni (blocco Usa) con in più la cautela estrema e la resistenza (a trasformazioni strutturali) all’interno» del partito- governo-stato cubano.
In queste condizioni tremende trasformare la struttura economica del paese «è un compito estremamente complicato». Ma necessario e urgente, «evitando però di generare incertezze che lacerano la fiducia» della popolazione nel governo.

L’accademico descrive così chiaramente la situazione attuale dell’Isola, dove le misure per «eliminare ritardi e distorsioni» nell’economia dell’isola annunciate dal premier Marrero lo scorso dicembre sono state bloccate. Da una parte per i forti aumenti di prezzi che comportano in materia soprattutto di energia e trasporti. Dall’altra per una evidente resistenza all’interno del vertice politico nei confronti di riforme di struttura. Ma come afferma Triana, l’incertezza aggrava la crisi e soprattutto «corrode la fiducia» dei cubani nei confronti del governo.