Si parte piano, quasi si cammina sul posto nell’attesa che arrivi la soluzione al problema numero uno della maggioranza sulla giustizia. E cioè come conciliare la presenza in commissione alla camera – dove si sta discutendo la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario – di una maggioranza di centro-centrodestra favorevole a introdurre il sorteggio come metodo di selezione dei magistrati nel Consiglio superiore con la contrarietà di un bel pezzo della maggioranza di governo (M5S, Pd e Leu) e soprattutto con l’indisponibilità della ministra Cartabia ad avvallare questa soluzione che considera di dubbia costituzionalità.

La risposta, ripetono ormai tutti i partiti, potranno darla solo i leader politici. Potrebbe servire, cioè, un vertice di maggioranza vecchia maniera, quello che in realtà c’è già stato sotto le vesti di un incontro tra i capi delegazione al governo quando il Consiglio dei ministri (tra poco saranno due mesi) approvò all’unanimità le proposte di Cartabia. Proposte che alla voce sistema elettorale per il Csm non prevedono il sorteggio ma una legge maggioritaria con recupero proporzionale.

Tutto è tornato in discussione e neanche due incontri ieri a Montecitorio, il primo al mattino e il secondo nel tardo pomeriggio, sono serviti a superare lo scoglio del sorteggio. Che anzi è stato evitato del tutto, come argomento buono solo a litigare. Anche perché Italia Viva insiste che persino se si dovesse trovare un accordo non ritirerà il suo emendamento pro sorteggio, il che tiene in piedi la possibilità che nelle votazioni capiti un incidente. Come se non bastasse sempre i renziani, con la Lega, non accettano di blindare il compromesso alla camera – coinvolgendo anche i senatori – in modo da evitare modifiche e terza lettura. Il tempo per cambiare le regole per la prossima elezione del Csm (luglio) è quasi scaduto, di questi tempi quattro anni fa i seggi stavano già per essere convocati.

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Non basta allora che si siano fatti passi avanti su quasi tutte le altre questioni, anche assai delicate come le regole per il rientro graduale nelle funzioni giurisdizionali dei magistrati che hanno lavorato nei gabinetti ministeriali (tutti i magistrati, anche quelli amministrativi) o la separazione delle funzioni tra giudici e pm. Sul punto pende il referendum promosso dalle regioni di centrodestra e non si può ancora parlare di compromesso raggiunto, ma si intravede una strada per limitare di fatto a uno soltanto il passaggio da una funzione all’altra (che è quello che accade nella quasi totalità dei casi concreti, malgrado oggi siano consentiti quattro “salti”).

Tutto questo non è bastato a rendere concreto quel «clima positivo» di cui parla il ministro per i rapporti con il parlamento D’Incà, presente ai tavoli. Perché le tensioni sul tema del sorteggio si sono riverberate in incidenti minori, ma significativi. Come un’impuntatura di Azione sulla presunzione di innocenza (assai marginale nel disegno di legge delega in oggetto) e soprattutto lo smarcamento di Italia viva quando poi nel pomeriggio – nell’intervallo tra le due riunioni di maggioranza – la commissione giustizia è riuscita finalmente a votare i primi emendamenti.

Ce ne sono circa 250 e ieri se ne sono votati appena due, entrambi bocciati come da parere del governo. In un caso, però, i deputati renziani hanno votato a favore, invano. Ma il segnale è giunto chiaro. Se, per cercare di rispettare il termine del 19 aprile in aula, il governo volesse forzare la mano senza un accordo solido, c’è il rischio che l’intera riforma possa saltare. Non è detto che per Lega e Iv, che vogliono fare la campagna per il sì ai referendum giustizia del 12 giugno, questo sia un male.