Cruyff, imprendibile funambolo
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Cruyff, imprendibile funambolo

Sport A 68 anni muore l'alfiere del calcio totale negli anni '70, l'ultima età dell'oro del football popolare, non ancora stretta fra diritti televisivi e procuratori. Maestro dentro e fuori dal campo quando parlava di responsabilità del calciatore e della necessità di aiutare i compagni in difficoltà

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 25 marzo 2016

Probabilmente gli anni Settanta sono stati l’ultima età dell’oro del calcio popolare. Niente paytv, niente protagonisti e procuratori ricoperti d’oro, un sano rapporto tra pubblico e squadra cementato dalla partita della domenica.

Di quell’epoca Johann Cruyff, funambolo imprendibile, capellone con pelliccia sintetica, stella del collettivo olandese, è stato il simbolo fulgido e straordinario, uno tra i più grandi campioni di tutti i tempi (come Pelè per i sixties e Maradona per gli eighties).

Nel calcio orange, la meraviglia dell’epoca guidata in panchina da Rinus Michaels, che puntava forte sulla condizione atletica, sulla tecnica individuale (e anche i terzinacci dovevano saper controllare bene la sfera) e sulla disposizione in campo, occupando tutte le zone nevralgiche, Cruyff è uomo-squadra per eccellenza, che costruisce, dirige e segna nell’Ajax e nella nazionale dalla brillante divisa arancione (senza nomi senza sponsor), con tanti compagni (da Neeskens a Rensebrink, da Krol a Suurbier) simili a modelli di stile, con quei capelli lunghi, il fisico asciutto e l’andatura dinoccolata.

Il numero 14 sembra un motorino che girava freneticamente attorno alla palla per eludere i difensori avversari, con un grande senso dell’anticipo riusciva a salvare gambe e pallone, andando sia in profondità sia svariando a destra o a sinistra (era ambidestro e segnerà spesso anche di testa) , tra una finta, un dribbling e un cambio di direzione, senza mai dimenticare il piacere e l’allegria di giocare a calcio.

Quello scatto in avanti che dal campo di gioco è finito anche dentro la società civile, il suo stile sovversivo e provocatorio lo farà subito schierare con gli oppositori del generalissimo Franco (quando passerà al Barcellona nel 1973) così come sarà la prima superstar a fumare apertamente giocando a carte in ritiro come i suoi compagni, dipinti come anarchici beatnik (anche per l’abitudine di praticare il sesso con moglie o fidanzate, regolarmente e nei tornei internazionali).

Cruyff alfiere del calcio totale e profeta del gol, secondo la fortunata definizione del film di Sandro Ciotti, parlava di responsabilità sociale del calciatore e della necessità di aiutare i compagni in difficoltà.

Ancora oggi molti vedono la mano (e il piede) dell’olandese volante nello stile vincente e collettivo del Barcellona, dove Cruyff ha seminato a lungo e bene (nei 9 anni trascorsi alla guida dei blaugrana ha vinto 4 campionati spagnoli e una Coppa dei Campioni) finendo per passare gran parte del tempo nel suo ranch in Catalogna. Un uomo che ha dispensato gioia in tutto il mondo, con leggerezza e impegno, sorridendo e giocando.

Per epitaffio userei le sue parole, riferite alla nazionale del 74 «La leggenda può trarre linfa anche da una sconfitta, soprattutto se giochi bene e se lasci un buon sapore in bocca ai tifosi…anche quando perdi, il bel calcio perdura nella memoria…».

«La leggenda può trarre linfa anche da una sconfitta, soprattutto se giochi bene e se lasci un buon sapore in bocca ai tifosi…anche quando perdi, il bel calcio perdura nella memoria…»Johann Cruyff
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