La Cina non sarà più il paese giovane, energico e in via di sviluppo che si è presentato agli occhi del mondo nei decenni scorsi. La nazione più popolosa del pianeta è nel pieno della sua regressione demografica, dopo un costante calo del tasso di natalità durato anni e che secondo gli esperti è irreversibile.

Lo confermano i dati comunicati ieri dal governo centrale, da cui è emerso il quadro peggiore degli ultimi 60 anni. Alla fine del 2022 la popolazione cinese era infatti di 1,41 miliardi di persone, in calo di 850mila unità rispetto al 2021, con un tasso di natalità nazionale che ha toccato il minimo storico: 6,77 nascite ogni mille donne, rispetto ai 7,52 nel 2021.

LO SCORSO ANNO in Cina sono nate 9,56 milioni di persone, mentre 10,41 milioni sono morte (dato a cui si aggiungono le stime dei decessi per Covid). Era dal «Grande balzo in avanti», la fallimentare politica economica e sociale di Mao Zedong, che non si registrava un tasso di mortalità superiore a quello della natalità.

Già il trend negativo annotato nel 2021 aveva spinto i funzionari cinesi a mettere in campo diverse misure politiche ed economiche per rallentare l’inversione della curva demografica prevista però nel 2025. Per controbilanciare l’effetto del rapido invecchiamento della popolazione e delle temute conseguenze economiche del trend demografico in discesa, il Partito aveva rivisto la strategia della pianificazione familiare: cancellata con un colpo di spugna la politica del figlio unico nel 2016 – introdotta nel 1979 per rispondere alla pressione demografica – la Cina ha allentato nel 2021 le maglie sul controllo delle nascite, permettendo alle famiglie di avere tre figli anziché due.

Ma a nulla sono servite la cancellazione della politica del figlio unico (che ha portato a 400mila nascite in meno) e l’introduzione di incentivi governativi per incoraggiare le famiglie ad avere figli. Le giovani coppie, in particolare quelle che vivono nelle città di prima fascia (Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen), sono alle prese con diversi ostacoli economici resi più evidenti dalla strategia Zero Covid, come l’alto costo della vita, la crescita della disoccupazione giovanile, l’aumento degli affitti o dei prezzi delle case, e il costoso sistema d’istruzione.

I GIOVANI CINESI non desiderano avere figli in un paese in cui la loro voce conta poco, e questo nonostante il governo abbia introdotto «misure di sostegno» per i futuri genitori. Misure che però vengono considerate insufficienti a garantire una vita dignitosa ai nuovi nati. Il calo delle nascite in Cina è la conseguenza di diversi fattori: economici, sociali e politici. Ma è anche l’effetto di una sfrenata crescita economica che la Cina ha registrato dal 1979 con le riforme di Deng Xiaoping.

Adesso con il calo della popolazione, unito a un aumento dell’aspettativa di vita, il paese è spinto in una crisi demografica che avrà conseguenze non solo per la Cina e la sua economia, ma per il mondo intero. Nel medio e lungo termine, la Cina non disporrà più di un esercito di persone in età lavorativa che alimenterà il motore di quella che è l’attuale seconda economia mondiale. E questo perché il gigante asiatico ha lasciato dietro di sé il florido periodo della crescita a due cifre.

GLI ULTIMI DATI economici rilasciati ieri restituiscono l’immagine di un paese in difficoltà, appesantito dalle conseguenze della strategia Zero Covid. Nel 2022, il Pil cinese è cresciuto meno del solito, solo del 3% rispetto al 2021, mancando l’obiettivo ufficiale di «circa il 5,5%»: è un dato che supera le aspettative degli analisti, che stimavano che la crescita si sarebbe fermata al 2%.

La Cina torna quindi ai livelli economici del 1976, l’anno in cui è finita la Rivoluzione culturale, se si esclude la parentesi negativa della crescita del 2,2% registrata nel 2020. E le sue aspettative sociali ed economiche per il prossimo futuro non sono delle migliori.