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Crediti di CO2, un mercato finto

Crediti di CO2, un mercato finto

Emissioni Molte aziende inquinatrici si vantano di salvare le foreste tropicali. Con progetti di energie rinnovabili, riduzione della deforestazione e riforestazione. Ma gli studi dicono che il mercato dei crediti non funziona

Pubblicato circa un anno faEdizione del 16 novembre 2023

Sono numerose le aziende che per compensare le loro emissioni fanno ricorso ai crediti di carbonio. I crediti sono generati partendo da diversi tipi di progetti: energie rinnovabili, riduzione della deforestazione, riforestazione. Lo schema Redd+ (Riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale) consente alle aziende di acquistare titoli volontari di compensazione delle emissioni investendo in programmi anti-deforestazione. Il mercato dei crediti di carbonio è attraente soprattutto per le imprese altamente inquinanti, perché le compensazioni rappresentano una soluzione più economica rispetto alla riduzione dell’impiego di combustibili fossili o all’investimento in tecnologie in grado di contenere le emissioni. La maggior parte dei progetti di conservazione delle foreste tropicali o di riforestazione che sono stati varati in questi ultimi 10 anni sono nati sulla spinta di organismi attivi nel campo della compensazione delle emissioni. Sta di fatto che il mercato del carbonio si è allargato considerevolmente e, utilizzando il meccanismo della compensazione, un numero crescente di aziende ha potuto fregiarsi dell’appellativo «carbon neutral».

AZIENDE AD ALTO TASSO DI INQUINAMENTO (aviazione, attività minerarie, trasporti marittimi e su strada) hanno sbandierato in questi anni il loro impegno nella protezione delle foreste tropicali. La necessità di far luce sul misterioso mercato dei crediti di carbonio è diventata sempre più pressante, anche per l’impatto che le attività di compensazione stanno avendo in estese aree dell’America Latina e dell’Africa, dove si raccoglie il maggior numero di crediti. Numerosi studi indipendenti hanno esaminato un gran numero di progetti per capire quanta foresta è stata realmente protetta e come vengono svolte le attività di riforestazione. Quello che emerge con chiarezza è che il mercato dei crediti di carbonio non sta funzionando e i dati forniti dagli organismi coinvolti nei meccanismi di compensazione non sono attendibili, soprattutto per quanto riguarda i progetti anti-deforestazione. La maggior parte dei progetti di protezione forestale non ha raggiunto gli obiettivi di contenimento delle emissioni che erano stati preventivati. Inoltre, nelle aree tropicali in cui sono state intraprese attività di riforestazione, si è puntato su monocolture forestali che hanno prodotto gravi alterazioni negli ecosistemi.

IL PIÙ RECENTE STUDIO È QUELLO pubblicato a inizio ottobre sulla rivista Trends in Ecology’s Evolution e riguarda il lavoro svolto dai ricercatori dell’Università di Oxford che hanno esaminato l’impatto che le monocolture forestali hanno nelle aree tropicali. Si dimostra che la riforestazione basata su monocolture non è adatta a raggiungere gli obiettivi di stoccaggio dell’anidride carbonica e comporta rischi per gli ecosistemi perché riduce la biodiversità. La scelta di riforestare le aree tropicali con piante non native come l’eucalipto (originario dell’Australia) viene vista con preoccupazione. Si tratta di una pianta a rapida crescita che garantisce un elevato ritorno economico e che le multinazionali hanno individuato come fonte di elevati profitti nella produzione di legname e cellulosa. La sua coltivazione, però, sta causando acidificazione dei suoli, riduzione della crescita di altre piante locali, esaurimento delle acque sotterranee. In Brasile, dove si concentra un terzo di tutti i progetti di compensazione delle emissioni, le piantagioni di eucalipto stanno coprendo intere regioni, in particolare nel Cerrado e nel nord-est, sostituendo la vegetazione nativa. I dati dicono che quasi la metà della superficie riforestata è rappresentata da monocolture. Il problema è che la monocoltura di eucalipto viene abbattuta dopo 15-20 anni, senza essere riuscita a compensare le emissioni dell’azienda europea o statunitense che ha finanziato il progetto di riforestazione e senza aver svolto i servizi ecosistemici della foresta nativa. Inoltre, le monocolture forestali stanno mostrando una minore resilienza rispetto ai cambiamenti climatici, siccità, agenti patogeni, incendi. La conclusione dello studio è che questo tipo di riforestazione, che porta vantaggi economici nel breve periodo, non è in grado di contrastare i cambiamenti climatici e può determinare la scomparsa di ecosistemi complessi.

LA PRINCIPALE SOCIETÀ DI CERTIFICAZIONE del mercato volontario del carbonio è Verra, una organizzazione con sede negli Usa che calcola quanti crediti di carbonio può generare un determinato progetto. Secondo la Banca mondiale, Verra gestisce i tre quarti di tutte le compensazioni volontarie e il suo programma di protezione delle foreste tropicali pesa per il 40% dei crediti totali di carbonio. L’attenzione non poteva non concentrarsi su questa organizzazione, come hanno fatto in una inchiesta congiunta del gennaio 2023 il giornale britannico The Guardian, la rivista tedesca Die Zeit e l’organizzazione SourceMaterial. I tre studi scientifici presi in esame hanno messo in evidenza che il 94% dei crediti utilizzati per realizzare i progetti di Verra non hanno portato ad una reale riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre, la maggior parte dei progetti sono stati sovradimensionati per generare più crediti. Le superfici forestali minacciate di deforestazione erano state sovrastimate da Vera in media del 400%. Che gli standard di certificazione impiegati nel programma Redd+ sono così flessibili da non offrire alcuna garanzia lo sostengono anche i ricercatori dell’Università di Berkeley (Usa), che in un rapporto del settembre scorso calcolano che solo il 7% circa dei crediti di carbonio raggiunge i risultati previsti. «Se solo un credito di carbonio su 13 si dimostra valido, vuol dire che la loro azione si perde nella foresta», affermano gli autori.

ANCHE I RICERCATORI DELL’ISTITUTO federale di Tecnologia di Zurigo hanno voluto indagare sul fenomeno e, dopo aver revisionato più di 2 mila progetti nel mercato volontario dei crediti di carbonio, sono arrivati nel luglio scorso alla seguente conclusione: solo il 12% dei crediti totali ha prodotto una reale riduzione delle emissioni. Siamo di fronte a studi accurati e di diversa provenienza che dimostrano che il mercato dei crediti di carbonio non sta apportando alcun beneficio per il clima. La protezione delle foreste e i processi di riforestazione sono fondamentali, ma non possono essere legati ai meccanismi di compensazione. Lasciare le foreste tropicali fuori dal mercato dei crediti di carbonio è una richiesta che settori sempre più ampi del mondo scientifico rivolgono agli organismi internazionali. La Cop 28 che si svolgerà a Dubai a partire dal 30 novembre dovrà prendere atto delle contraddizioni che stanno interessando il mercato dei crediti di carbonio, che stanno mostrando di essere una falsa soluzione per quanto riguarda la protezione forestale.

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