Europa

Covid in Cina, l’Ue insiste: «Introdurre test obbligatori»

Covid in Cina, l’Ue insiste: «Introdurre test obbligatori»

La strategia italiana accolta a metà: gli Stati sono incoraggiati a chiedere tamponi alla partenza, ma niente test a tappeto all’arrivo

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 5 gennaio 2023

È durata oltre cinque ore la riunione del «Meccanismo integrato di risposta politica alle crisi» europeo (Ipcr) che ieri doveva stabilire nuove norme per i viaggiatori che arrivano in Europa dalla Cina. Mentre il comunicato finale della riunione parla di «accordo» pieno su alcune misure, come l’obbligo di mascherina per i passeggeri, il testo si limita a «incoraggiare fortemente» gli stati membri a richiedere un test negativo «effettuato non oltre 48 ore prima della partenza dalla Cina». Quella dei test è stata la questione più dibattuta. Il documento definitivo è un compromesso tra chi, come l’Italia, sottopone al tampone tutti i passeggeri sia al decollo che allo sbarco con quarantena obbligatoria per i positivi, e chi, come la Germania, fino a ieri non aveva introdotto alcuna misura per gli arrivi da Pechino. Gli Stati hanno anche concordato di sottoporre i passeggeri a test a campione e a analizzare le acque reflue di aerei e aeroporti. La decisione riflette la diversità di vedute e rischia di aumentare la confusione, dopo giorni di dibattito in cui tra comunità scientifica, governi nazionali e istituzioni sovranazionali è del tutto mancato il coordinamento.

Da un lato, gli organismi scientifici europei e mondiali hanno mantenuto una certa prudenza senza particolari allarmismi. Martedì il Centro europeo per controllo delle malattie (Ecdc), la massima agenzia dell’Ue in materia di epidemie, aveva comunicato che, in base ai dati a disposizione, l’ondata cinese «non dovrebbe avere un impatto significativo sull’epidemia in Europa».
Ieri anche il Gruppo tecnico consultivo sull’evoluzione del virus dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e i virologi del Centro cinese per il controllo delle malattie hanno esaminato oltre duemila sequenze virali raccolte dal 1 dicembre in Cina. L’analisi ha confermato che l’ondata cinese non è alimentata da nuovi ceppi: «si tratta di varianti note – spiegano i virologi dell’Oms – che hanno già circolato in altri Paesi e allo stato attuale nessuna nuova variante è stata osservata» in Cina. Nella stessa giornata, il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha però avvertito che la diffusione del Covid in Cina «è alta ed i dati completi non sono disponibili, come ho detto la scorsa settimana è comprensibile che alcuni Paesi stiano adottando misure che ritengono possano proteggere i propri cittadini». Ma nella stessa conferenza stampa, gli esperti Oms hanno spiegato che oggi la variante più monitorata si chiama XBB.1.5, fa parte del ceppo Omicron ed è diffusa soprattutto negli Usa e in alcuni Paesi europei.

A livello politico, quello di ieri è il primo atto comune dopo giorni di incertezza. A rompere il fronte, compromettendo sul nascere una strategia coordinata, era stato il governo italiano, il primo a reintrodurre tamponi e quarantene per chiunque sbarchi dalla Cina. Una mossa più demagogica che sanitaria, visto che la maggior parte degli arrivi da Pechino fanno scalo in altri Paesi e sfuggono alla rete di sorveglianza. Ma altri governi – Spagna, Francia, Regno Unito – l’hanno imitata senza aspettare le decisioni di Bruxelles (e senza quarantena).

La lentezza delle decisioni europee si spiega anche con ragioni burocratiche. L’Unione ha diversi organi decisionali, in questa come in altre materie. Il primo è il Comitato per la sicurezza sanitaria (Csr) presieduto dalla Commissione, a cui partecipano i ministri della sanità degli stati membri. Martedì il Csr aveva già concordato alcune decisioni poi finite nella decisione di ieri sera. Ma per renderle operative ci è voluto il via libera dell’Ipcr, che invece risponde al Consiglio dell’Unione Europea – cioè i governi – attualmente presieduto dalla Svezia. Nel complesso, dunque, l’Ue è apparsa debole e appesantita dai suoi stessi meccanismi. La decisione finale sembra figlia più delle scelte nazionali dettate da fattori politici interni che una strategia coordinata fondata sulle evidenze scientifiche.

Molti scienziati hanno sottolineato la frammentazione della strategia continentale. «È deludente vedere che dopo tre anni di pandemia non ci sia ancora una risposta europea coordinata» ha detto al sito Politico Marion Koopmans, tra i virologi più esperti al mondo e consulente dell’Oms, al sito Politico, secondo cui le restrizioni sui viaggi «in passato si sono dimostrate poco efficaci nel rallentare la trasmissione delle varianti».

Anche l’epidemiologo Alessandro Vespignani ha lamentato l’assenza di una comunicazione chiara che non «semini paure». «Ho però paura – ha aggiunto su twitter– che vedremo la solita cacofonia di voci, strumentalizzazioni politiche, esagerazioni e minimizzazioni impartite in egual misura che lasciano il pubblico sconcertato».

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