Le agenzie di credito all’esportazione, i cosiddetti assicuratori di Stato, finanziano l’industria fossile con circa 28 miliardi di dollari l’anno. La nostra Sace, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, si colloca al sesto posto globale tra i finanziatori pubblici dell’industria fossile, facendo concorrenza alle agenzie dei principali paesi asiatici e degli Stati Uniti. Fra il 2016 e il 2021, Sace ha emesso garanzie (assicurazioni sui progetti o garanzie sui prestiti per la realizzazione dei progetti) per il settore oil&gas pari a 13,7 miliardi di euro, che rappresentano una fetta importante dei sussidi ambientalmente dannosi elargiti dall’Italia.

Sace, a braccetto con le multinazionali energetiche nostrane e internazionali, ha operato in contesti di instabilità e sistemica violazione dei diritti umani, spesso alimentate o aggravate dal business fossile: Federazione russa, Mozambico ed Egitto. Insomma, una questione che va ben oltre il clima e l’ambiente.

Per una volta, questo lo avevano capito anche i governi che era meglio dire basta con questi sussidi dannosi, allorché nel novembre del 2021, in occasione della Conferenza sul clima di Glasgow (COP26), 34 paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche firmarono la cosiddetta Dichiarazione di Glasgow, impegno congiunto ideato per porre fine ai nuovi finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili entro il 31 dicembre 2022. L’Italia, che condivideva con il Regno Unito la presidenza della COP26, aderì solo all’ultimo minuto.

MA NON TUTTO È ANDATO secondo i piani, tanto che al principio di questa settimana oltre 170 organizzazioni della società civile internazionale, tra cui l’italiana ReCommon, Greenpeace, Friends of the Earth, Both ENDS e Oil Change International, hanno preso carta e penna per chiedere che quegli impegni siano rispettati sul serio. La petizione arriva infatti a poche ore dall’inizio del nuovo round negoziale presso l’Ocse sulle restrizioni da applicare ai sussidi climalteranti proprio delle agenzie di credito all’esportazione. L’Italia, che già in passato ha provato a minare gli impegni per il clima e l’ambiente in contesti simili, potrebbe far pendere ancora una volta l’ago della bilancia a favore del business fossile, nonostante le promesse prese in Scozia.

Per quanto la Dichiarazione di Glasgow sia una pietra miliare, si tratta infatti di un impegno volontario e su base nazionale, politiche di implementazione comprese: è per questa ragione che la partita decisiva si gioca all’Ocse, all’interno della quale c’è uno specifico gruppo di lavoro sugli assicuratori pubblici.

Sette tra i principali paesi sostenitori dell’industria fossile attraverso soldi pubblici, nonché membri dell’Ocse hanno adottato politiche che rispettano ampiamente la promessa fatta a Glasgow: Regno Unito, Francia, Canada, Finlandia, Svezia, Danimarca e Nuova Zelanda. Altri, come Paesi Bassi, Spagna e Belgio, hanno implementato la Dichiarazione con politiche deboli, che lasciano ampi margini di supporto finanziario all’oil&gas. Ce ne sono poi alcuni che non hanno rispettato minimamente la scadenza della fine del 2022: Stati Uniti, Germania e Italia.

NEL NOVEMBRE DEL 2022, l’Italia aveva già provato a indebolire una posizione comune sulle restrizioni al comparto fossile presso l’Export Finance for Future, coalizione internazionale che si pone l’obiettivo di allineare i finanziamenti degli assicuratori pubblici all’Accordo di Parigi sul clima. In quello stesso mese, appare quasi paradossale che proprio Sace fosse nominata a capo del gruppo di lavoro sulle agenzie di credito all’export presso l’Ocse: una scelta che getta ombre sul buon esito dell’incontro, alla luce del ruolino di marcia fossile dell’agenzia.
Sotto l’amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno guidato i progressi relativi al settore del carbone. Un impegno facile in un mondo che si schierava apertamente contro il più inquinante dei combustibili fossili, per di più sempre meno profittevole. Petrolio e gas rappresentano invece una partita completamente diversa, soprattutto ora che gli USA vogliono esportare più gas naturale liquefatto possibile verso l’Europa.

C’È POI UNO SCONTRO APERTO che vede da una parte la Francia e dall’altra l’Italia e la Germania, per una volta appaiate. La questione è meramente commerciale: facendo melina su Glasgow, i due paesi potrebbero accaparrarsi fette sempre più ampie di business fossile a discapito della Francia, che potrebbe quindi fare passi indietro pure sulla politica di implementazione della Dichiarazione di Glasgow. Insomma, un effetto domino negativo è dietro l’angolo e l’accordo presso l’Ocse lontano.

In un mondo sempre più segnato dalla crisi climatica, il fiume di denaro distribuito da Sace e dalle sue omologhe non ha più ragione d’essere. Sarebbe ora che il governo italiano e il suo assicuratore pubblico facciano fede agli impegni presi, se non vogliono contribuire a portarci sull’orlo di un baratro difficilmente reversibile.