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Corsa per l’ultimo voto del senato

Corsa per l’ultimo voto del senatoI cinque stelle nell'aula di Montecitorio – Foto La Presse

In aula Ok della camera con 367 sì. Il 19 gennaio a palazzo Madama, senza dibattito. Poi si torna a Montecitorio. Il premier ora teme solo una sconfitta a Roma che freni la campagna verso ottobre

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 gennaio 2016

Doveva essere un voto senza storia e senza suspense, dove tutto, persino i commenti finali, era previsto, ed è stato così. La Camera ha approvato la riforma costituzionale di Matteo Renzi (e anche di Berlusconi che pure non la ha votata). «Maggioranza schiacciante» esulta il capo, e i numeri confermano: 367 sì, 194 no, 5 astenuti. Si potrebbe per la verità specificare che alla Camera, in forza del premio di maggioranza, il vantaggio «schiacciante» è regalato a priori, ma mica si può negare a un maestro della propaganda come Renzi di fare il mestiere proprio. Solo un ammutinamento della minoranza del Pd avrebbe potuto alterare i numeri del trionfo. I ribelli (si fa per dire) del Pd avevano però già piegato la testa, risolvendo così in partenza a favore del capo ogni eventuale incognita.

E’ vero che Gianni Cuperlo già mette in forse il voto nella sfida vera, quella del referendum in ottobre: «Non sia un plebiscito personale o un voto estraneo al merito: per quanto mi riguarda lo sbocco finale di questa vicenda non è scontato». Con tutto il sincero rispetto, non è facile prenderlo sul serio:votare no al referendum dopo aver votato sì in aula risulterebbe incomprensibile per troppi, e neppure scalfirebbe il risultato. Lo stato maggiore del Nazareno è convinto che le resistenze della minoranza si tradurranno certamente in una scarsa partecipazione alla campagna per il sì, però nulla di più. Molto probabilmente hanno ragioni da vendere.
La ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi sceglie toni più discreti: «Sono molto contenta ma non è il via libera definitivo. Ci sono ancora due passaggi». Il primo dei due, il voto finale del Senato, desta preoccupazioni limitatissime. Col secondo, il referendum di ottobre, è tutt’altra musica.

Al Senato il governo si prepara all’ennesima forzatura, come denuncia la presidente dei senatori del Misto e di Sel Loredana De Petris: un passaggio lampo, di poche ore, martedì 19. Ci sarà la relazione e subito dopo il voto, senza uno straccio di dibattito. Le opposizioni protestano e probabilmente lo faranno rumorosamente in aula. Ieri l’M5S, a Montecitorio, ha esposto le bandiere tricolori a significare il decesso della democrazia italiana. Quasi certamente qualcosa di simile accadrà anche a palazzo Madama ma non è certo quella l’insidia.

Sulla carta il passaggio finale al Senato dovrebbe essere il più rischioso sul piano dei numeri. Sarà necessaria la maggioranza assoluta non dei votanti ma degli aventi diritto: 161 e non uno di meno. Con i numeri sempre ballerini di palazzo Madama poteva trattarsi di una vera trappola, ed è una eventualità che Renzi ancora un po’ teme. Ha deciso di anticipare il voto sulla riforma proprio per non arrivare all’appuntamento con alle spalle un possibile strappo con i centristi sulle unioni civili. Meglio evitare rischi di rappresaglia sulle riforme. Ma le preoccupazioni di palazzo Chigi sono solo scaramantiche: con la minoranza dem inginocchiata e il supporto della truppa mercenaria di Verdini i 161 voti ci saranno tutti. Ci sarà qualcosa di più, anzi, e Renzi avrà di che tripudiare.

L’esito del referendum è meno sicuro. Lo staff di palazzo Chigi si dichiara assolutamente ottimista, e lo è davvero: la carta dell’innovazione contro la stagnazione in Italia spesso funziona ma soprattutto Renzi punterà tutto su un plebiscito su se stesso, contando anche sull’eterno “dopo di me il diluvio”. Eppure un’ombra sulle rosee aspettative c’è, e gli stessi renziani lo confessano: «Siamo sicuri della vittoria del sì. Il solo granello di sabbia che potrebbe inceppare tutto sarebbe una sconfitta a Roma».

Parole sibilline, perché la sconfitta del Pd a Roma è molto vicina alla certezza. Ma se si intende la battuta sulla Capitale come riassunto della valutazione complessiva del voto per le comunali, il discorso si chiarisce. Perché la carta del plebiscito funzioni, Renzi deve apparire come il leader che infila una vittoria dopo l’altra. Se si presenterà all’appuntamento con una sconfitta secca alle spalle e l’ombra del declino sulla testa, non ci sarà più alcuna certezza.

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