Coronavirus, siamo tutti sulla stessa barca della Cina
L'intervento L'ex ambasciatore italiano nella Repubblica popolare spiega perché è importante sostenere Pechino nel suo impegno senza precedenti contro l’epidemia. E come la diplomazia cinese potrebbe fare uno sforzo con Taiwan
L'intervento L'ex ambasciatore italiano nella Repubblica popolare spiega perché è importante sostenere Pechino nel suo impegno senza precedenti contro l’epidemia. E come la diplomazia cinese potrebbe fare uno sforzo con Taiwan
Dopo un colpevole ritardo iniziale di un paio di settimane, dovuto a ragioni burocratiche ma soprattutto alla paura di riflessi negativi sull’economia (non è bastata evidentemente l’esperienza Sars nel 2002 per convincere del tutto il sistema cinese che fare da sé in tema di salute pubblica è un grave errore, poiché i virus non si fermano alle frontiere), la Cina ha cambiato completamente atteggiamento e agisce ora con massima apertura e senso di responsabilità anche nei confronti della comunità internazionale, come apertamente riconosciuto dalla maggioranza degli osservatori.
SECONDO IL PORTAVOCE del Ministero degli Esteri cinese, alcune misure di prevenzione e controllo sono persino più rigorose di quelle richieste dall’OMS, il cui Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus ha in effetti confermato che la Cina sta operando con standard innovativi di risposta alle epidemie (in pochi giorni ha messo in quarantena 56 milioni di persone, comprese alcune città abitate da milioni di persone, oltre a Wuhan, costruendo due ospedali per 10.000 pazienti in meno di dieci di giorni) e che la «dichiarazione di emergenza sanitaria internazionale» a causa del virus non è da intendersi quale voto di sfiducia nei confronti della Cina.
La città di Wuhan si colloca nel cuore dell’economia cinese. Lo scorso anno, la crescita del suo Pil è stata del 7,8% contro la media nazionale del 6,1%. Si tratta di una metropoli tentacolare di oltre 10 milioni di persone, dove sono presenti circa 300 delle prime 500 aziende del mondo, ciò che fa comprendere la rilevanza degli interventi decisi dal governo cinese in questi giorni. Nel giro di pochi giorni, al culmine del Capodanno cinese, il periodo più congestionato dell’anno, la Cina è riuscita a mettere in quarantena un ambiente urbano di oltre 56 milioni di persone, un primato assoluto in termini di valenza per la salute pubblica, mai verificatosi in altri momenti della storia.
IERI IL PORTAVOCE CINESE ha aggiunto che la maggior parte dei paesi apprezza e sostiene gli sforzi della Cina contro l’epidemia e che Pechino comprende e rispetta le misure di quarantena imposte alle frontiere da parte di altri paesi, facendo tuttavia notare che alcuni paesi, e non solo gli Stati Uniti, hanno reagito in misura eccessiva, ben oltre i consigli dell’OMS, in particolare «gli Stati Uniti non solo non hanno fornito alcuna significativa assistenza, ma hanno diffuso panico e imposto restrizioni irragionevoli», decretando ad esempio il divieto di ingresso ai viaggiatori che sono stati in Cina negli ultimi 14 giorni, atteggiamenti questi criticati da molti esperti e virologi americani.
AL 4 FEBBRAIO sono stati confermati quasi 21.000 contagiati, 427 decessi e oltre 600 persone guarite e dimesse, mentre l’unico decesso fuori dalla Cina si è verificato nelle Filippine.
[do action=”citazione”]In buona sostanza, un’epidemia che sta facendo perdere il sonno a 6,5 miliardi di persone che vivono fuori dalla Cina ha fatto sinora una sola vittima nel mondo (più uno a Hong Kong-Cina) e anche i contagiati ovunque sul pianeta per ora sono meno di 200.[/do]
I numeri cambiano ogni ora, beninteso, ma nelle ultime 24 ore non si sono verificati contagi in nuovi paesi: la maggior parte dei contagiati si trova naturalmente in Cina (1.458), seguita da Giappone (circa 20), Thailandia (19), Singapore (18), Corea del Sud (16), qualche unità in alcuni paesi europei e appena 11 negli Stati Uniti: (fonti Oms, American Centers for Disease Control and Prevention, European Centre for Disease Prevention and Control, e le cinesi Nhc e Dhc).
Davanti ai rischi di diffusione di un’epidemia, sebbene l’incidenza dei decessi sia assai ridotta (e comunque minore di quella della Sars nel 2002), occorre certamente misurare le parole. Tuttavia, molti hanno notato che alcune reazioni da parte della popolazione, anche in Italia, sono frutto di timori ingiustificati o di ignoranza a-sociale. Siamo tutti nella medesima barca e occorre dunque essere uniti e dotarsi di empatia e comprensione, senza discriminazioni irrazionali sulla base del colore della pelle o della forma degli occhi.
LA CINA È E RIMANE un paese amico, il suo popolo è un popolo amico dell’Italia. Teniamo anche presente che la Cina non dimenticherà coloro che l’hanno aiutata nel momento del bisogno.
Del resto, le autorità cinesi hanno già stilato la lista dei paesi che hanno fornito concreta assistenza, di quelli che sono rimasti alla finestra e di quelli, come gli Stati Uniti, che hanno alimentato solo panico e diffidenza, e a tempo debito ne trarranno le conseguenze. Tra i paesi che hanno già fornito assistenza il portavoce degli Esteri ha citato Corea del Sud, Giappone, Regno Unito, Francia, Turchia, Pakistan, Kazakistan, Ungheria, Iran, Bielorussia, Indonesia e UNICEF per aver inviato materiale di prevenzione e controllo, aggiungendo che la Cina ha urgente bisogno di maschere, tute protettive, occhiali di sicurezza e altro materiale medico.
FACCIAMO APPELLO affinché anche l’Italia sostenga concretamente gli sforzi della Cina per controllare l’epidemia (persino il Vaticano ha inviato 700.000 mascherine), promuovendo al più presto anche nel nostro Paese una raccolta di fondi e materiale, nell’interesse della nazione cinese e di tutta la comunità internazionale.
Vi è però un punto sul quale anche la Cina potrebbe fare uno sforzo, ed esso riguarda Taiwan. Il Direttore Generale dell’Oms, Tedros Adhanom, ha affermato: «Questo è il momento dei fatti, non della paura. Questo è il tempo della scienza, non delle voci. Questo è il momento della solidarietà, non dello stigma», invitando i paesi a evitare le restrizioni eccessive ai viaggi e operando con solidarietà e apertura tra tutte le nazioni. La nazione cinese è una nazione piena di virtù e con grande capacità di imparare dalle lezioni della storia, e sarà certo in grado di sconfiggere anche questa epidemia, con l’aiuto però di tutta la comunità delle nazioni.
IL PRESIDENTE XI JINPING, incontrando Tedros Adhanom alcuni giorni fa, ha chiamato il virus un demone impegnando la Cina alla massima trasparenza per sconfiggerlo.
L’auspicio è che gli scienziati che hanno isolato il virus (tra cui anche i ricercatori italiani dello Spallanzani, oltre a quelli australiani, che lo hanno replicato per primi, insieme a quelli di altri paesi, possano mettere a punto un farmaco efficace e magari un vaccino). Nel frattempo, però non bisogna commettere errori.
L’Italia ha vietato i voli da Taiwan poiché anche per l’Oms Taiwan è parte della Cina, sebbene i casi laggiù siano stati solo 10, e tutti sotto controllo. La Cina ha dichiarato in merito: «I compatrioti di Taiwan sono nostri fratelli e sorelle. Se incontrano difficoltà all’estero, siamo pronti ad aiutare. L’Oms è un’agenzia speciale delle Nazioni Unite composta da stati sovrani e la partecipazione di Taiwan deve avvenire attraverso consultazioni con Pechino in base al principio di una sola Cina. La regione di Taiwan può avere tuttavia accesso tempestivo alle informazioni sulle emergenze sanitarie globali diffuse dall’OMS e in tal modo può far fronte efficacemente alla salute pubblica locale o globale».
[do action=”citazione”]In un mondo globalizzato tuttavia e in determinati frangenti storici, i destini di tutti i paesi e territori sono strettamente collegati. Di fronte a pericoli gravi per la salute di tutti occorre concentrarsi sull’obiettivo, lasciando da parte altre considerazioni, che semmai potranno essere riprese più avanti, quando questa calamità sarà stata sconfitta.[/do]
Le difficoltà del dialogo politico dello Stretto che si protraggono dal 2016 si riflettono sulla cooperazione a livello tecnico e dunque anche oggi, com’era avvenuto nel 2003, la collaborazione tra le due parti è insufficiente. Un accordo quadro sulla salute pubblica (Cross-Strait Cooperation Agreement on Medicine and Public Health Affairs) esiste dal 2011, ma non sembra che funzioni a dovere. Sulla base di questa intesa il Centro per il Controllo delle Malattie di Taiwan ha inviato due esperti a Wuhan il 13-14 gennaio, senza però che si sia sviluppata un’adeguata collaborazione.
Ancora oggi, le autorità scientifiche taiwanesi possono acquisire dati utili solo dal web, e sul territorio solo dal Centro Cinese per il Controllo delle Malattie e da quelli delle Commissioni Sanitarie delle singole città o province cinesi.
LE ATTUALI RELAZIONI tra l’Oms e Taiwan costituiscono al momento una grave falla del sistema della gestione internazionale delle emergenze come quella in atto. Taiwan è un hub aereo di forte rilievo, con 2800 voli annuali verso 149 città mondiali (settanta milioni di transiti negli aeroporti). Il suo peso nell’economia globale (Taiwan è la 22esima economia mondiale per PIL, la settima in Asia) la rendono fortemente interconnessa. Nella prospettiva internazionale dunque, l’attuale emergenza sanitaria deve avere un profilo multilaterale e non bilaterale.
La reinclusione di Taiwan alle attività dell’Oms (anche solo a livello tecnico e con il consenso di Pechino) deve essere quindi ripristinata al più presto, prima che si producano danni per tutti. La situazione attuale espone sia i taiwanesi che la comunità internazionale a rischi maggiori ed evitabili, risultando Taiwan esclusa da circuiti informativi essenziali (per informazione a Taiwan sono presenti tra gli 800 e i 1000 italiani).
Facciamo dunque appello anche alle autorità di Pechino affinché possano ripristinare efficienti flussi d’informazione con Taipei e consentire libero accesso alle informazioni e alle attività di prevenzione e controllo dell’epidemia da parte dell’Oms.
* Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Dal 1975 ha ricoperto diversi incarichi alla Farnesina e all’estero, tra cui Belgio, Venezuela, Norvegia e Nazione unite (direttore dell’Unicri, Istituto di ricerca Onu sul crimine e la droga, 1998-2003). Si è occupato di Cina per lunghi anni, trascorrendo in quel paese dieci anni in diversi momenti, in particolare dal 1991 al 1996 quale consigliere commerciale presso l’Ambasciata a Pechino, quindi console generale d’Italia a Hong Kong dal 1996 al 1998. Alla Farnesina ha coordinato il Comitato governativo Italia-Cina dal 2004 al 2007 ed è stato responsabile dell’ufficio istituzionale internazionale di Enel (2007-08). Bradanini è diventato quindi Ambasciatore d’Italia in Iran (2008-2012) e Ambasciatore d’Italia a Pechino (2013-2015). È attualmente presidente del Centro studi sulla Cina contemporanea.
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