Contro il blocco del gas russo prevalgono le ragioni dell’economia
Scenari Si presenta l’occasione unica di opporci alla guerra e di accelerare la conversione energetica. Da un passaggio alle fonti rinnovabili ci sarebbe tutto da guadagnare
Scenari Si presenta l’occasione unica di opporci alla guerra e di accelerare la conversione energetica. Da un passaggio alle fonti rinnovabili ci sarebbe tutto da guadagnare
La dipendenza dal fossile ha avuto un ruolo rilevante nel modello di sviluppo e di globalizzazione. Ha significato, obiettivamente, sostenere regimi autoritari (non solo in Russia, ma in Arabia Saudita, in Libia, in Algeria, ecc.), ha alimentato rendite e oligarchie, ha provocato guerre spesso dimenticate.
Negli ultimi 30 anni abbiamo sperimentato e conosciuto il lato oscuro (dark side) della crescita esponenziale del Pil mondiale: distanze abissali tra ricchi e poveri, ridimensionamento del welfare, selvagge privatizzazioni dei beni pubblici, precarietà e bassi salari, disastri ambientali. Parafrasando Milton Friedman, secondo cui «non esistono pasti gratis», la globalizzazione è stata un pranzo di gala per pochi e ricchi commensali (padroni delle multinazionali, rentiers, oligarchi, uomini della grande finanza), ma il conto, salatissimo, da pagare – in termini di cambiamenti climatici, di pandemia e di guerre – è arrivato a tutti noi, non ai ricchi signori accomodati intorno alla tavola.
Con la guerra nel cuore dell’Europa è svanita l’illusione di una crescita senza limiti, trainata dalla deregulation. Sono tornati in campo gli Stati, con gli eserciti e il linguaggio delle armi. La storia ci sta ricordando che non esiste solo il mercato a decretare chi vince e chi perde, ma pesano gli interessi nazionali, le ambizioni personali, le divergenti visioni politiche e ideologiche.
La Russia di Putin cerca di recuperare lo status di “grande potenza” e appare risucchiata in una logica (reazionaria) in cui mire territoriali e propositi di rivincita si accompagnano alla lotta religiosa contro la “decadenza morale” dell’Occidente. E altri fronti potrebbero aprirsi. Non è un mistero che la Cina, nella gara per contendere agli Usa il primato economico e tecnologico, aspiri a inglobare Taiwan dentro la sua giurisdizione.
Siamo dunque attanagliati da un’emergenza globale, rispetto alla quale la «mano invisibile» del mercato risulta impotente. Riacquistano centralità l’intervento pubblico e il ruolo della politica. Tuttavia l’iniziativa politica e diplomatica è inadeguata e contraddittoria per la debolezza cronica delle istituzioni internazionali, a partire dall’Onu. Thomas Nagel, noto filosofo del diritto, individua le ragioni di questo deficit nel fatto che gli Stati-nazione sono gelosi custodi della loro «sovranità» e poco propensi a delegare quote di potere a livelli di governo sovranazionali. «Non viviamo in un mondo giusto», egli dice, perché le istituzioni globali mancano di «autorità sovrana».
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, (lo stesso vale per il Consiglio dell’Ue) sulle questioni fondamentali è bloccato dal diritto di veto dei paesi che ne fanno parte. Abbiamo assistito al paradosso del presidente Biden che chiede l’intervento della Corte penale internazionale a proposito dei crimini di guerra in Ucraina, dimenticando che il governo degli Stati Uniti non ne ha mai ratificato il trattato istitutivo.
Così, per fare un altro esempio, le sanzioni fin qui applicate dai paesi della Ue non sembrano tali da costringere Putin ad una tregua e a trattare. A differenza del Parlamento europeo, che approva a larga maggioranza una risoluzione per l’embargo immediato e totale dei combustibili fossili provenienti dalla Russia, il Consiglio europeo e la Commissione si attardano su una linea più prudente e graduale. Se la priorità è la pace, il blocco del gas è l’arma vincente. Non c’è altro modo per interrompere il fiume di soldi, pari a un miliardo di euro al giorno, che finanzia la guerra di Putin. Senonché molti Stati europei sono reticenti e contrari e antepongono le ragioni dell’economia a quelle della pace.
Invece, per quei rari casi di «astuzia della storia», ci si presenta l’occasione unica di opporci efficacemente alla guerra e, al contempo, di accelerare la conversione energetica. Da un passaggio in tempi rapidi alle fonti rinnovabili ci sarebbe tutto da guadagnare. Nell’immediato il sistema produttivo, tarato sulle fonti fossili, potrebbe risentirne.
Ma i vantaggi sarebbero enormi. Diminuirebbero gli sprechi e si adotterebbero comportamenti più sani e sobri. Migliorerebbe decisamente la qualità della vita.
Sulla scia del Next Generation Eu, la fase di transizione andrebbe sostenuta dall’Ue con un nuovo piano d’investimenti, privilegiando due obiettivi: la diffusione capillare delle energie rinnovabili e il rafforzamento dello Stato sociale. Un piano di questo tipo andrebbe finanziato con un aumento della tassazione sui profitti delle multinazionali, delle piattaforme digitali, di big pharma e delle rendite finanziarie e immobiliari.
È nell’interesse della sinistra battersi perché gli Stati affidino alle istituzioni europee maggiori poteri in campo fiscale, energetico e della sicurezza. Un’accelerazione dei processi di integrazione politica sposterebbe a un livello più avanzato la lotta per un mondo più giusto.
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