Giuseppe Conte riappare in pubblico all’assemblea di Coldiretti e prova a tranquillizzare tutti sull’eterna questione del tetto dei due mandati: «Con Beppe Grillo stiamo discutendo in queste ore e risolveremo entro la settimana, anche per valorizzare esperienze e competenze». Difficile che riesca davvero a strappare qualche deroga, che peraltro avrebbe l’effetto collaterale di riaprire la questione interna, ma si attende a giorni una soluzione che conduca alla composizione delle liste, che passeranno anche per le assemblee regionali del Movimento 5 Stelle. Poi Conte ribadisce che la responsabilità della crisi di governo va data a Luigi Di Maio che pensava «a una nuova formazione politica» e al Partito democratico, colpevole di avere «inserito nel Dl aiuti una norma sull’inceneritore».

NEI GIORNI scorsi Conte aveva tracciato il terreno descrivendo il suoM5S come «terzo incomodo» tra i due competitor Letta e Meloni. Ieri, probabilmente rispondendo anche alle sollecitazioni che gli arrivano da qualcuno all’interno (pochi) e dai pontieri che lavorano alla sinistra del Pd, è sembrato riaprire un piccolo spiraglio. «Un dialogo col Pd non lo escludiamo – si spinge a dire rispondendo a una sollecitazione di Tpi – Ci saranno le premesse solo se il Pd vorrà schierarsi convintamente a favore dei più deboli, del lavoro, dei più giovani, delle donne». Ma tra i suoi non è aria di riavvicinamenti, come emerge dal fatto che nel giro di pochissimo dal quartier generale della comunicazione grillina viene fatta arrivare una precisazione: la risposta dell’avvocato, fanno sapere, «non è in alcun modo da intendersi come una riapertura alla possibilità di una alleanza col Pd in questa campagna elettorale. Conte ha voluto semplicemente chiarire che in prospettiva futura ci potranno essere le premesse per un dialogo solo se il Pd abbandonerà l’agenda Draghi e sposerà un’agenda autenticamente sociale ed ecologica». E in effetti in serata lo stesso Conte ribadisce la linea dei giorni scorsi: «Noi andremo da soli alle politiche con quello che sarà il ’campo giusto’, perchè i cittadini avranno la garanzia che gli impegni che prenderemo saranno mantenuti».

UNO DI QUELLI che lavora per ricomporre le divisioni è Nicola Fratoianni di Sinistra italiana. «C’è un tema che riguarda tutti, anche M5S, e che io continuo a ripetere: penso debbano cadere i veti per l’allargamento potenziale di un’alleanza che nelle forme che sceglierà sia in grado il più possibile di contribuire a sconfiggere una destra che in questo paese ha proposte e ricette, oltre che culture politiche che io considero pericolose e terribilmente regressive». Ma Enrico Letta ha altre priorità: è tutto preso a dirigere il traffico che ingorga gli aspiranti centristi della sua «alleanza tecnica» che stenta a prendere forma e ancora non ha neanche un nome che la identifichi. Ieri è stata la volta dell’apertura a Matteo Renzi, che lamenta di non essere stato invitato a cena. Ma è chiaro anche che pure l’accordo con Carlo Calenda, che pareva cosa fatta, è in attesa che l’ex ministro decida se gli conviene schierarsi oppure no. Il Nazareno è una pentola a pressione, e così sarà fino alla presentazione delle liste, anche perché si vive la «straniante sensazione» di un centrosinistra che viene dato in difficoltà in una logica di coalizione, «mentre il Pd è in salute e continua a crescere anche più di Meloni». Paradossi della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria.

PROVA A METTERCI una buona parola il sindaco di Milano Beppe Sala, nei giorni scorsi arruolato per dare ordine alla galassia moderata. «È bastata una riunione ieri pomeriggio ai partiti del centrodestra per trovare l’accordo per le elezioni del 25 settembre – sostiene Sala – Non mi meraviglio, non ho mai creduto alle supposte divisioni in questa compagine: rimarranno compatti fino al 25 settembre. Dal giorno dopo, posso immaginare che non lo saranno affatto, ma posso anche immaginare cosa proporranno all’Italia. E il centrosinistra, in queste ore, rimane ai veti incrociati?».