Beppe Grillo rispolvera i toni truci dei vecchi tempi e diffonde una raccolta di figurine sugli zombie coi volti di tutti i suoi ex adepti passati con Luigi Di Maio. E tuttavia, un po’ per i tempi stringenti un po’ per necessità politiche, a proposito di compilzione delle liste elettorali il Movimento 5 Stelle fa un altro passo nella sua trasformazione in partito normale. Giuseppe Conte non può consentirsi di non assicurare un posto sicuro ai quattro vicepresidenti (erano cinque, ma come è noto Paola Taverna ha dovuto fare un passo indietro) e ad alcuni dei fedelissimi e dei candidati della società civile che intende mobilitare.

DUNQUE, CADONO due principi base del vecchio M5S: il leader sceglie i capolista al proporzionale e si potrà correre anche in un collegio che non è la regione di residenza. Il principio di territorialità avrebbe messo a rischio la corsa di alcuni dei pochi big rimasti come Stefano Patuanelli, che ieri parlando agli agricoltori della Cia ha insistito sul fatto che il M5S non è l’unico responsabile della caduta del governo Draghi, e Chiara Appendini, la cui esperienza a da sindaca di Torino Conte ha indicato all’assemblea regionale del M5S piemontese come modello di amministrazione innovativa. Resta il dubbio non da poco: Virginia Raggi sarebbe candidabile, essendo lei al terzo mandato elettivo tutt’ora in corso? A imbrigliare ulteriormente la situazione c’è il fatto che l’ex sindaca di Roma è anche parte del Comitato dei garanti che dovrebbe sovrintendere l’applicazione dello Statuto. Grillo incassa il fatto che comunque in qualche modo le parlamentarie online si faranno, anche se probabilmente soltanto una parte delle liste sarà aperta e contendibile dagli iscritti, per le posizioni di spicco si tratterà di ratificare le scelte dei vertici.

NEL M5S ALMENO fino a qualche giorno fa si accarezzava l’idea di schierare una lista in supporto al simbolo pentastellato (che dovrebbe restare intonso, senza riferimenti a Conte). La soluzione tecnica per evitare la raccolta delle firme sarebbe stata individuata, a Conte spetta di sciogliere la riserva: l’avvocato sta soppesando pro e contro, avrebbe modo di candidare una serie di personaggi senza passare dalle regole del M5S ma teme che si disperdano voti preziosi.

LA GALASSIA degli ex grillini, intanto, fa le sue mosse. Ieri Luigi Di Maio ha presentato la lista «Impegno civico», che gode dell’ombrello del Centro democratico di Bruno Tabacci. Il nome del ministro degli esteri campeggia in mezzo al simbolo, anche se aveva assicurato che dalla sua scissione non sarebbe nato alcun «partito personale». Tabacci, tra gli applausi dei suoi nuovi compagni di strada, ha bacchettato il Beppe Grillo che invitava l’Italia a fare come l’Argentina che aveva rifiutato di pagare il suo debito pubblico vero l’esterno e ha ricordato che dal 1994, anno in cui ha cessato di esistere la Dc, lui cerca di essere democristiano scegliendo di volta in volta come farlo. Alle elezioni del 2018 aveva scelto Emma Bonino e +Europa, offrendo anche a loro la possibilità di candidarsi senza raccogliere le firme. Oggi quel simbolo torna utile a Carlo Calenda. «Dunque – ha scandito sornione Tabacci – per la proprietà transitiva oggi Calenda non potrebbe correre se non fosse stato per me».

DI MAIO SI MUOVE nelle vesti moderate e filo-draghiane come se non avesse mai indossato altro. Dopo che l’altro giorno ha attirato sospetti sui rapporti tra il suo ex partito e Putin, proponendo per la prossima legislatura una commissione d’inchiesta sul fenomeno, il suo ex fedelissimo rimasto nel M5S Stefano Buffagli ha reagito riportandolo alle sue responsabilità: «Se Di Maio sa qualcosa deve parlare nella massima trasparenza… subito! – scrive sui social l’ex sottosegretario allo sviluppo economico – Sono molto curioso! Anche perché l’esperto del settore che portava avanti quella linea è nel suo partito…». L’allusione è presto resa esplicita: Buffagli allega al suo post la faccia di Manlio Di Stefano, sottosegretario agli esteri ricordato anche per aver partecipato al congresso del partito putiniano Russia Unita.

LA PROLIFERAZIONE di simboli che cerca casa nell’area Pd non finisce qua. Sempre ieri, l’ex capogruppo M5S alla Camera Davide Crippa e il ministro dei rapporti col parlamento Federico D’Incà hanno presentato il simbolo di «Ambiente 2050». Per descrivere il progetto hanno pescato dal vocabolario tipico della politica classica. Trattasi di «contenitore», anzi di un «laboratorio» che guarda «alla società civile» ma anche «al mondo imprenditoriale». Cercano posto nelle liste del Pd.