Consumi alle stelle d’estate e d’inverno. L’insostenibilità dei grattacieli di vetro
Architettura energivora «Non c’è architetto che non abbia un portfolio pieno di edifici interamente vetrati, oggi un edificio deve essere trasparente»
Architettura energivora «Non c’è architetto che non abbia un portfolio pieno di edifici interamente vetrati, oggi un edificio deve essere trasparente»
Le lastre di vetro non sono sempre esistite. Eccetto sporadici casi nell’antica Roma, le lastre di vetro alle finestre cominciano ad apparire nelle case delle persone più abbienti alla fine del XIII secolo. Il processo di diffusione comunque non fu rapido e soltanto nel XIX secolo l’utilizzazione del vetro negli infissi iniziò a diventare comune in tutte le città europee, grazie anche alle innovazioni tecnologiche nel processo di produzione.
IL VETRO ALLE FINESTRE FU UNA SVOLTA epocale: divenne possibile avere allo stesso tempo luce naturale e comfort termico all’interno degli ambienti. Prima, la luce naturale implicava finestra aperta, non proprio confortevole in inverno. Nel 1914 in Germania Paul Scheerbart, scrittore e artista visionario, scrisse una sorta di manifesto in favore della «architettura di vetro»; il suo messaggio ebbe successo, e il vetro iniziò la sua irresistibile ascesa dando vita a involucri interamente vetrati, resi possibili dallo sviluppo dei sistemi di riscaldamento e condizionamento che li rendevano abitabili. Edifici estremamente energivori, ma l’energia costava poco e di cambiamento climatico non si parlava.
È PASSATO OLTRE UN SECOLO e l’involucro di vetro è sempre di più il segno distintivo di quella che viene considerata Architettura. Non c’è grande architetto che non abbia un «portfolio» pieno di edifici più o meno interamente vetrati: oggi un edificio deve essere leggero e trasparente, e sembra che ciò si possa ottenere solo col vetro. Edifici così si trovano dappertutto nel mondo. Guardando le loro fotografie, non c’è nulla da cui si possa dedurre dove si trovino. Peccato che qualsiasi manuale di architettura sostenibile sottolinea che ogni clima e cultura deve avere la sua architettura. Ma, a parte questa mancanza di identità, c’è pure qualcosa che non va dal punto di vista energetico e ambientale nei grattacieli tutti di vetro? Vediamo.
A UNA FACCIATA INTERAMENTE VETRATA fatta con vetri chiari, come quelli che si usano per le normali finestre, corrisponde, all’interno, una grande superficie molto luminosa, che causa il fenomeno dell’abbagliamento, che rende difficile e affaticante il lavoro d’ufficio. Inoltre, la radiazione solare entrante è tanta da costringere ad accendere il condizionamento da marzo a ottobre-novembre, a meno che non si oscuri con tende, e allora bisogna accendere la luce, anche in pieno giorno.
PER QUESTO SONO STATI SVILUPPATI dei vetri che riflettono buona parte della radiazione solare e attenuano la luce entrante. Per ragioni che dovrebbero essere ben note agli architetti, ma purtroppo non lo sono, questi vetri inducono gli occupanti ad accendere la luce artificiale anche se non ce ne sarebbe bisogno, alla ricerca di un miglior comfort visivo, per compensare il fatto che la luce naturale, filtrata dal vetro, risulta troppo «fredda». Basta guardarli, hanno sempre le luci accese in pieno giorno. A che serve allora la facciata trasparente? Il risultato è che la funzione primaria del vetro, lasciare entrare la luce naturale, viene cancellata, inducendo un inutile aumento dei consumi energetici per illuminare, e delle emissioni di CO2 corrispondenti. Inoltre, l’involucro tutto di vetro disperde il calore molto di più di uno convenzionale, e quindi richiede più energia per riscaldare in inverno. A ciò si aggiunge che in estate la grande quantità di energia solare che entra, malgrado i vetri siano in parte riflettenti, implica alti consumi energetici per il condizionamento. Insomma, un colabrodo energetico.
POI C’È IL COMFORT TERMICO. Nelle giornate estive soleggiate il vetro, assorbendo la radiazione solare, raggiunge temperature che facilmente superano i 30-40 °C, e l’emissione di radiazione infrarossa che ne deriva causa una sensazione di caldo torrido in tutti gli occupanti nelle zone circostanti, malgrado la temperatura dell’aria sia quella di comfort, che soddisfa quelli che sono lontani dal vetro. D’altra parte, durante le giornate fredde e senza sole in inverno il vetro è gelido e nelle zone vicine si patisce una sgradevole sensazione di freddo, malgrado l’aria abbia la stessa temperatura delle altre zone.
NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI per ridurre questi effetti si usa soffiare una corrente d’aria fredda (in estate) o calda (in inverno) che lambisce la superficie del vetro dall’interno, in modo da portarne la temperatura a valori vicini a quelli dell’aria. Le condizioni di comfort migliorano, ma le dispersioni e i consumi inevitabilmente aumentano ancora di più.
NON C’È DUBBIO CHE UNA FINESTRA ben progettata in una facciata ben isolata garantisce il giusto livello di illuminazione naturale e il giusto contributo solare in inverno, non fa entrare il sole d’estate, non provoca abbagliamento, permette di rapportarsi visivamente con l’esterno, fa consumare meno energia e costa meno. E allora, se nei grattacieli di vetro il comfort visivo e termico non è buono, se richiedono più energia degli altri per essere climatizzati e illuminati e nello stesso tempo per combattere il cambiamento climatico dobbiamo minimizzare le emissioni del settore edilizio, che senso hanno?
PARADOSSALMENTE, QUESTI EDIFICI energivori rispettano le normative nella forma ma le evadono nella sostanza, perché il metodo di calcolo utilizzato sottovaluta tanto i consumi invernali quanto quelli estivi. Lo sanno bene da anni gli esperti di fisica degli edifici, ma restano inascoltati, perché una cultura sorpassata, anti-ambientale, continua a prevalere, nei committenti e negli architetti. E il legislatore è o sordo, o ignorante o, peggio, lacchè di quelli che vogliono la cattedrale di vetro.
E NON BASTA. SI FA SEMPRE più strada, nell’urbanistica sostenibile, il principio della «città dei 15 minuti», con Parigi come pioniera e Milano, a detta del suo sindaco, sulla stessa linea. La città dei 15 minuti è una città in cui tutti i servizi più di frequente usati sono raggiungibili in non più di 15 minuti, a piedi, riducendo fortemente la necessità dell’uso dell’automobile. È una città, quindi, in cui la concentrazione spaziale delle funzioni, tanto cara al devastante principio della zonizzazione, non ha più luogo, perché l’obiettivo è quello di avere tutte le funzioni distribuite, di prossimità.
MA ALLORA, SE MILANO AMBISCE a diventare città dei 15 minuti, come si concilia con la spinta verso la costruzione di nuovi grattacieli, che concentrano funzioni in un solo luogo? E se poi questi grattacieli sono pure di vetro, causa di ingiustificatamente alte emissioni di CO2 e sono pure poco confortevoli, e costano non poco, perché mai bisogna farli? Tanto più che in un auspicabile mondo a emissioni zero bisognerà abbatterli.
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