«Non sono comunista e nemmeno lo diventerò, ma se qualcuno si azzardasse a ridere della mia stella rossa gli mangioicuore crudo». Sono le parole che Beppe Fenoglio mette sulle labbra del partigiano Alfredo e rievocano ciò che rappresentarono (negli anni duri e solitari dell’antifascismo ed in quelli drammatici e liberatori della Resistenza) la presenza, la forza e la fede politica dei comunisti nel nostro Paese.

Per questa ragione di fondo nei decenni di revisionismo e rimozione che viviamo, non stupisce che il principale obiettivo della destra postfascista e dell’anomala destra “liberale” sia stato quello di delegittimare ed eliminare un così ingombrante segno della nostra storia. Soprattutto rispetto alla radice fondativa della Repubblica: la Resistenza.

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Assistiamo così alla propalazione di falsità ed accuse tanto da parte degli eredi del Msi oggi al governo, quanto di quella stampa proprietaria che rappresenta la voce delle classi dirigenti del Paese.

I partigiani comunisti “quinta colonna” dell’Urss; la separazione tra l’antifascismo non comunista “buono” e quello legato al Pci da condannare; l’equipollenza dei regimi nazifascisti e sovietico come riferimento “terzista” rispetto alla lettura “antitotalitaria” della storia del Novecento (una lettura antistorica avallata nel 2019 dalla risoluzione del Parlamento europeo su proposta dell’Ungheria di Orbàn e della Polonia di Kaczyński).

L’intelligenza dei fatti serve a restituire significato alle parole; orizzonte di senso agli eventi del passato; verità di fronte alla menzogna.

Il Partito comunista fu la principale forza di opposizione, l’unica strutturata clandestinamente in Italia, durante tutto il ventennio fascista negli anni bui del “consenso” al regime. Quelli delle persecuzioni contro i dissidenti; dell’abolizione di ogni libertà individuale e collettiva; delle guerre imperialiste e coloniali; delle leggi razziali; del patto con Hitler. Pagarono il prezzo più alto.

Il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato condannò 4.671 antifascisti e di questi 4.030 erano comunisti. Sui 28.115 anni di carcere comminati 23.124 toccarono ai membri del Pci clandestino.

Con il ritorno di Palmiro Togliatti in Italia e la “svolta di Salerno” del 1944 i comunisti accettarono (e spinsero a fare altrettanto i recalcitranti socialisti e azionisti) di far parte del governo monarchico di Pietro Badoglio pur di dar vita ad un fronte unitario di tutte le forze antinaziste per liberare l’Italia. Accettarono di rinviare la “questione istituzionale” alla fine della guerra e di scioglierla attraverso il voto popolare.

Rappresentarono la prima forza militare della lotta partigiana consegnando con le loro “Brigate Garibaldi” la metà totale delle donne e degli uomini combattenti della Resistenza (l’altra metà divisa fra azionisti, socialisti, liberali, monarchici, autonomi, democristiani.

La centralità comunista in seno al Comitato di Liberazione Nazionale nonché la firma di Umberto Terracini, da presidente dell’Assemblea Costituente, in calce alla Costituzione sugellarono l’identità storico-politica del Pci come uno dei perni della rifondazione dello Stato repubblicano.

Non ci sarebbe stata la Resistenza con i caratteri storici che abbiamo conosciuto senza il concorso plurale di tutte le forze antifasciste. Sicuramente non ci sarebbe stata nessuna Resistenza senza i comunisti.

«Non diremo mai che siamo stati i migliori -ripeteva il comandante dei Gruppi d’Azione Patriottica di Roma Mario Fiorentini- ma ripeteremo sempre che nessuno è stato migliore di noi».

Queste ragioni della storia fanno giustizia delle assurdità dell’oggi.

Un presente fatto di negazionismo istituzionale, nel quale si può ascoltare il Presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, affermare il falso storico dell’assenza dell’antifascismo nella Costituzione oppure i vertici dello Stato fuggire, è il caso della Presidente del Consiglio Meloni, di fronte ai conti con l’eredità del regime mussoliniano e del suo partito d’origine, il Msi, che se ne designò erede.

La Costituzione fu così inscindibilmente pensata, scritta, vissuta e legata all’antifascismo che l’unico divieto politico interessò la possibile ricostituzione del partito fascista. Normata dalla legge Scelba del 1952 venne applicata ai gruppi eversivi Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale alla metà degli anni Settanta ma già nel 1971 riguardò Giorgio Almirante, indagato dalla magistratura (autorizzata a procedere dal Parlamento) rispetto alla natura del Msi come ricostituito partito fascista.

Il 25 aprile e lo sguardo pulito sulla nostra storia migliore sgombra il torbido di tali racconti. Ci restituisce una teoria dello Stato nata dall’antifascismo e incardinata negli articoli della nostra Costituzione che rese diritto di cittadinanza a chiunque, come ricorda il comandante comunista Arrigo Boldrini: «La Resistenza l’abbiamo fatta per noi e per quelli che stavano con noi; per quelli che non hanno preso parte; e anche per quelli che erano contro».