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Comando Nato a Firenze, c’è chi dice no

Comando Nato a Firenze, c’è chi dice noIl corteo nel quartiere di Gavinana

Economia di guerra In migliaia sfilano contro il progetto di installare il comando Nato area sud-est nella caserma Perotti di Rovezzano. "Il nostro futuro non può essere solo guerra e repressione". Si contesta anche il ddl 1660 con cui il governo Meloni vuole stroncare a colpi di denunce, processi e pesanti condanne le lotte civili e sociali. In corteo moltissimi giovani, tante le bandiere arcobaleno e della Palestina

Pubblicato 18 giorni faEdizione del 22 settembre 2024

I bambini che portano con orgoglio lo striscione “No guerra, no Nato”, in un viale Giannotti invaso da un corteo che si ingrossa minuto dopo minuto, sono un’immagine calzante dell’opposizione di un buon pezzo di città al progetto di sistemare il comando Nato area sud-est (“Multi-Division South”) nella caserma Perotti di Rovezzano, in un’area densamente abitata.

Una militarizzazione del territorio contrastata fin dall’inizio dal comitato “No comando Nato né a Firenze né altrove”, e che porta circa tremila persone a manifestare attraversando il popolare quartiere di Gavinana, colorando le vie e le piazze di vessilli arcobaleno e di tante bandiere della martoriata Palestina, fino al traguardo al Cpa Firenze sud.

Sono arrivati anche da fuori città per contribuire alla riuscita della manifestazione, dal movimento A Foras al No Muos, da Firenze per la Palestina e i Giovani palestinesi ai Ferrovieri contro la guerra, dal comitato No Camp Darby fino a Fuori Binario, i Calp di Genova e i Gap di Livorno.

Non mancano gli attivisti pisani che si stanno battendo contro la realizzazione di una mega base dei carabinieri, con una previsione di spesa di 520 milioni di euro nel cuore del parco di San Rossore. Tasselli di una economia di guerra che sposta 30 miliardi l’anno dalla spese sociali a quelle militari, e che Davide Pinelli sintetizza così: “Il nostro futuro non può essere solo guerra e repressione”. Si contesta, va da sé, anche il ddl 1660, il cosiddetto “decreto sicurezza” con cui il governo Meloni vuole stroncare a colpi di denunce, processi e pesanti condanne le lotte civili e sociali.
“L’amministrazione comunale assicura che nel quartier generale della Nato non ci saranno sistemi d’arma, ma non cita le fonti e non credibile – puntualizza Pinelli – e alla luce della minaccia della Russia di colpire le basi Nato in Europa se l’Ucraina userà le armi europee sul suo territorio, anche Firenze diventa a rischio”.

In corteo anche Alessandro Orsetti, babbo di Lorenzo “Tekoser” morto in battaglia combattendo Daesh al fianco delle milizie curde nell’infuocato scacchiere mediorientale: “Ci saranno altre manifestazioni come questa, nei rioni e nei quartieri popolari, per risvegliare una città che sembra assopita. Vogliamo parlare direttamente ai lavoratori e alle lavoratrici, spiegando loro che se, a fronte di una spesa militare di quasi 30 miliardi, non ci sono risorse per scuola, sanità, trasporti, salari, pensioni e misure contro il caro vita”.

Moltissimi i giovani manifestanti, a segnare una opposizione che attraversa più generazioni nel rifiuto delle guerre e dell’attuale, tragica logica delle armi, e che ad esempio ha fatto segnare il tutto esaurito in serata alla Casa del popolo 25 Aprile ad una iniziativa di sostegno all’ospedale di Al Awda a Gaza.

In corteo il consigliere comunale Dmitrij Palagi di Sinistra progetto comune, sfila anche Antonella Bundu e si fanno sentire i sindacati di base Usb e Cobas che hanno aderito alla manifestazione: “Firenze città di pace non può esserlo soltanto a distanza – segnala Palagi – deve prendere posizione anche rispetto a quello che riguarda questo territorio. L’assenza di informazioni è un problema di trasparenza, noi abbiamo chiesto ancora l’accesso agli atti, un’interrogazione e una mozione per far sì che il consiglio comunale voti come il Quartiere 2, quello interessato, cioè no al comando Nato a Rovezzano. Inoltre c’è un aspetto non solo locale, è prendere posizione contro l’aumento delle spese militari, contro il controsenso dell’invio delle armi come politiche di pace, contro il mancato rispetto dell’articolo 11 della Costituzione”. “Contro la terza guerra mondiale a cui ci stanno conducendo”, tira le somme Pinelli.

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