C’è chi la considera «una questione secondaria», di questi tempi, e c’è chi invece l’accoglie come una decisione «storica» che «cancella l’ultimo segno patriarcale del diritto di famiglia» e fa compiere al nostro Paese un ulteriore «passo verso le pari opportunità». Fatto sta che, ancora una volta, prima del legislatore è arrivata la Corte costituzionale che nella Camera di consiglio di ieri ha dichiarato illegittima, in quanto «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio», la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi.

La Consulta, che depositerà la sentenza nelle prossime settimane, ha però intanto anticipato di aver giudicato incostituzionale la norma «che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre» e di quella che, «in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori».

Perché, si legge nel comunicato stampa, sono regole in «contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione (obblighi internazionali e con l’Ue, ndr), quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

LA DECISIONE (giudice relatore Emanuela Navarretta) è stata presa analizzando due diverse questioni di legittimità: la prima, discussa in udienza pubblica martedì, è stata sollevata dalla corte di Appello di Potenza nel 2021 sul caso di una coppia di Lagonegro alla quale il Comune aveva negato il diritto di registrare la loro ultima figlia all’anagrafe con il cognome della sola madre, esattamente come gli altri figli avuti prima del matrimonio e riconosciuti per primi dalla genitrice (regola prevista nell’art. 262 c.c.); la seconda questione di legittimità è stata sollevata nel 2019 dal Tribunale di Bolzano sul caso di una coppia che avrebbe voluto scegliere per i figli il solo cognome materno. Ma, soprattutto, è stata la stessa Consulta l’anno scorso a sollevare la questione davanti a se stessa (relatore Giuliano Amato, prima della nomina a presidente) mentre proseguivano i lavori sul caso di Bolzano.

MA GIÀ NEL 2016, due anni dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per il «vizio strutturale» dell’ordinamento italiano che «discrimina le donne» e lede i «diritti della vita privata e famigliare», un’altra sentenza della Consulta (n. 286, relatore ancora Amato, emessa in seguito al ricorso della Corte d’appello di Genova) aveva stabilito l’incostituzionalità della norma che allora vietava l’adozione del doppio cognome, sia pure per comune accordo dei genitori.

Corte Costituzionale, 27 aprile 2022
«Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due»

In quest’ultimo caso, invece, la questione riguarda la possibilità di attribuire il solo cognome della madre. «Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome – anticipa la Consulta – che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due».

IN MANCANZA di accordo tra i genitori – che è poi il nodo sul quale si è arenato da febbraio l’iter al Senato, in commissione Giustizia, sui sei dei sette ddl presentati nel merito da Pd, Leu, Iv, M5S, Forza Italia, Udc e Svp – la Consulta rimanda all’«intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico». La stessa Corte costituzionale infatti sottolinea che «è compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione».

PER TUTTO il centrosinistra e per la sinistra, la sentenza dei giudici delle leggi è un atto di civiltà che spazza via norme «anacronistiche» e gli ultimi retaggi di una società «patriarcale». «Grazie alla Corte Costituzionale – commenta la ministra della Giustizia, Marta Cartabia – un altro passo in avanti verso l’effettiva uguaglianza di genere nell’ambito della famiglia». Ma ad esultare ci sono anche l’ex senatrice forzista Alessandra Mussolini e l’Udc Paola Binetti, firmataria di uno dei ddl depositati in Senato, che considera ora «ancora più urgente l’approvazione della legge sul doppio cognome e la risoluzione di una serie di nodi che comunque restano da sciogliere».

Unica voce di protesta è quella delle destre: mentre la ministra Carfagna tace, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli si dispiace di una sentenza che, a suo dire, «può avere effetti negativi sulla famiglia». Il deputato di Fd’I accusa la sinistra di fomentare «la guerra tra uomo e donna». Ma forse non ha colto la portata di una decisione tanto popolare da aver registrato su Twitter – per quel che può valere come spaccato della società italiana – il trend topic dell’hashtag #cognome, piazzato ieri in poche ore al primo posto al posto del cinguettio vivace sulla partita tra Manchester City e Real Madrid.