Cobain e il grunge, scatti dalla rivoluzione urlata di Seattle
Eventi Al Medimex una mostra con settantotto foto sulla nascita dei Nirvana e del movimento rock
Eventi Al Medimex una mostra con settantotto foto sulla nascita dei Nirvana e del movimento rock
La resa della testa pensierosa e molto accurata, i lunghi capelli e la barba in riccioli scuri spiraliformi di marmo, la testa di Ercole, una copia del bronzo colossale realizzato da Lisippo alla fine del IV secolo a.C. per l’acropoli della colonia ionica, simbolo della ricchezza della cittadina della Magna Grecia e attuale icona del favoloso Museo Nazionale Archeologico di Taranto, uno scrigno di antichi tesori meravigliosi quanto poco conosciuti. Proprio a una divinità dei giorni nostri, capelli lunghi lisci e biondi, sguardo magnetico e gesti di fanciullezza innocente, è dedicata la mostra Kurt Cobain & il grunge, storia di una rivoluzione, in programma al MarTa fino al primo luglio, all’interno del Medimex, la grande festa internazionale della musica, spostatasi quest’anno nella Città di Due Mari, inaugurata giovedì sera con gli incendiari brasiliani Metà Metà e i surgelati Kraftwerk, coi loro robot e computerworld in 3D, in tour mondiale, davanti a oltre 10 mila persone, affacciata sulla baia mozzafiato, sul lungomare Vittorio Emanuele III, col castello aragonese, illuminato dall’installazione dell’artista Arthur Duff.
La mostra comprende settantotto foto (sei inedite) esposte in due sezioni: da un lato trentotto immagini colte da Charles Peterson, che si concentrano sulla storia della nascita dei Nirvana, i concerti live e la scena grunge, dall’altro quaranta scatti di Michael Lavine estratti da servizi posati e immagini per le riviste. Il giovane ribelle, cantore di una generazione di sconfitti, bruciatosi a 27 anni, è ritratto nelle immagini ufficiali, a colori e in quelle intime e familiari in bianco e nero anche con la moglie Courtney Love e la figlioletta Frances, ad esempio in una mitragliata di foto scattate col motore mentre si butta all’indietro a gambe larghe sui tamburi di una batteria imbracciando la chitarra, fracassando tutto e catapultandosi in una sfida di energia e coinvolgimento, più avanti «volando» sdraiato sulle teste delle prime file di un live californiano. C’è quel sapore sudato e antisistema, della rivolta urlata proveniente da Seattle, dell’attitudine selvaggia e rumorosa, idealizzata dal teen spirit dei Nirvana – dalla formazione ai primi concerti in locali malfamati e campus universitari, ai palchi internazionali, fino ad arrivare agli ultimi mesi di vita di Kurt Cobain – quella grandezza che hanno già dimostrato qui i Soundgarden, una delle band rappresentative di quella scena musicale, transitati nella colonia spartana nel 1989 in una esibizione oggi considerata un evento postumo. Proprio la città della Boing, di Microsoft e di Starbucks sarà il fertile terreno del nuovo genere, reso visibile dal lavoro della famosa etichetta indipendente Sub Pop dove affilavano le sonorità i Mudhoney e Mark Lanegan e molti altri, tutti appesi sulle mura del museo tarantino.
Nelle altre sale non ci sono chitarre bensì anfore e vasi micenei con dipinti suonatori di cetra, cerimonie rituali con flauti doppi e attori con tamburello a sonagli e principalmente Taras, il bellissimo e sfortunato giovane raffigurato a cavallo di un delfino, protagonista di tante leggende locali, figlio di Nettuno e della ninfa Satyria, con un tridente in una mano e nell’altra un kylix (vaso) per le propiziatorie liturgie marine. Lui, Kurt, il ragazzo triste sin dall’adolescenza, l’angelo malinconico delle sette note, incapace di reggere il peso eccessivo della fama mondiale, martire del rock nel 1994 e compagno delle camerette degli adolescenti, che ha superato Jimi e Guevara nella vendita delle magliette, scriverà così il suo epitaffio «Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla, nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. (…) Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. (…) Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente».
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