Clima, la svolta necessaria nel sistema alimentare
Pitagora è padre e primo apostolo del vegetarianismo. Il poeta Ovidio lo ritrae mentre condanna l’uomo volgare che «placa il suo ventre vorace e vizioso solo distruggendo un’altra creatura». Invece i sapienti, secondo il filosofo greco inventore del celebre teorema, rifiutano di cibarsi delle carni di un animale ucciso, perché seguono una via di spiritualità in armonia con le leggi del cosmo.
Con un balzo in avanti di oltre due millenni approdiamo a Helsinki, Finlandia: per decisione del consiglio comunale, dal 2021 non si serve più carne nei ricevimenti ufficiali. Un segnale simbolico in favore dell’ambiente.
Ormai è chiarissimo come il clima che cambia dipenda anche da quello che mangiamo e dal modo in cui lo produciamo: il sistema alimentare è responsabile di un terzo delle emissioni totali di gas serra, cioè di quei gas che avvolgono la terra come una coperta e la scaldano sempre di più (Nature Food, marzo 2021). Tra i modi principali in cui pranzi e cene incidono sul global warming ci sono il tipo di digestione di mucche e pecore, il disboscamento in favore di agricoltura e pascolo e poi la lavorazione industriale. Legittimo chiedersi perché colpevolizzare i ruminanti. In larga misura perché nei loro stomaci vivono stuoli di batteri che si nutrono dei residui dei pasti, e il prodotto di scarto della loro fermentazione è un gas serra potentissimo, il metano, che viene poi liberato da ovini e bovini con eruttazioni.
Non è indispensabile diventare vegani, ma chi lo fa non mette a rischio la propria salute e merita tutto il rispetto degli onnivori.
Gli individui che rinunciano alle fonti animali sono ribelli morali, agiscono in modo difforme dalla maggioranza per un’urgenza etica che potrebbe modificare il sentire collettivo.
Stando alle conoscenze attuali, mangiare un po’ di carne non fa male, ma il punto è che i consumi degli occidentali andrebbero ridotti. Perfino Papa Francesco, in una lettera indirizzata alla Conferenza europea dei giovani, ha rimarcato che per il futuro del mondo non basta occuparsi dei combustibili fossili, che bisogna ridurre il superfluo. E gli eccessi di carne lo sono. Tra l’altro, il cibo sostenibile è lo stesso che potrebbe assicurare una vita più lunga e più sana: in base a un’indagine dell’Università di Harvard del 2023, la tavola rispettosa dell’ambiente potrebbe ridurre del venticinque per cento il rischio di morte per ictus, cancro, malattie neurodegenerative e altre patologie croniche. I dati derivano da studi che hanno monitorato nell’insieme le diete di centomila persone in trent’anni.
Quanto c’è da sapere sull’impatto degli allevamenti lo riassume il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso in un passaggio del suo ultimo saggio appena pubblicato da Laterza, Fitopolis, la città vivente: «Quanta superficie del pianeta è destinata alla produzione di alimenti? Escludendo le aree coperte dai ghiacci, che rappresentano intorno al dieci per cento delle terre emerse, e quelle sterili, ossia deserti, spiagge, rocce eccetera, che rappresentano un altro diciannove per cento, per la rimanente superficie, il cinquanta per cento è utilizzato in agricoltura. Sembra, francamente, una cifra enorme. Giusto per visualizzare la superficie di cui stiamo parlando, si tratta di un’area pari a cinque volte l’estensione degli Stati Uniti. Si tende a pensare che la superficie di terra destinata alla produzione di alimenti non sia comprimibile: dovremo pur mangiare, e se questa è la terra necessaria, allora non c’è molto che possiamo fare.
In realtà, se andiamo a vedere come è utilizzata questa gigantesca estensione di terra, scopriamo che la destiniamo per il settantasette per cento all’allevamento del bestiame e soltanto per il ventitré per cento alla produzione di alimenti vegetali. Una gestione tanto illogica che si fa fatica a pensare che una specie intelligente ne sia l’autrice: riserviamo il settantasette per cento delle terre per la produzione di alimenti agli allevamenti animali, i quali producono soltanto il diciotto per cento delle calorie destinate all’umanità!».
La necessità di una svolta ecologica nel sistema alimentare, auspicata dalla comunità scientifica e dall’Onu, non può che aprire un fronte di riflessione sul «cibo giusto». Possiamo immaginare il benessere del singolo a scapito del benessere di piante, animali, ambiente? La risposta è no. Non c’è salute senza sostenibilità.
* Articolo in esclusiva per l’ExtraTerrestre. Uscirà sul numero di Edonè Magazine il prossimo 5 febbraio.
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