Visioni

«Cinéma du Reel», le immagini del mondo in lotta

«Cinéma du Reel», le immagini del mondo in lottaUna scena di «Paradis» di Alexander Abaturov

Cinema L'apertura del festival sospesa per gli scioperi, la cifra politica attraversa l’intera programmazione che si confronta con il presente

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 marzo 2023

Il marzo francese è arrivato anche nelle sale di Cinéma du reel, il festival del documentario di Parigi, riferimento di punta per il settore – al Centre Pompidou fino al 2 aprile. La serata di apertura, prevista giovedì con il film Paradis di Alexander Abaturov, è stata cancellata per via dello sciopero generale a cui hanno aderito i lavoratori del museo parigino. Sul sito di «Mediapart» la direttrice artistica del festival, Catherine Bizern, rivendica la solidarietà ai dipendenti del Pompidou e della BPI, la Biblioteca pubblica, e la scelta di sostenere lo sciopero – «Stasera – scrive – saremo non in sala ma in strada a manifestare»; spiegando poi la loro decisione di non scioperare, legata alla caratteristica del festival di essere insieme un’esperienza sensoriale e collettiva, uno spazio in cui dare voce a quanto accade in Francia e nel resto del mondo.

E SE UN GESTO politico ne è stato il prologo, Cinema du reel è attraversato nella sua selezione e nella sua costruzione da una cifra politica che riguarda appunto i materiali del suo programma, la capacità delle diverse opere che verranno presentate di dare voce a chi spesso ne è privato o di dialogare con soggetti messi ai margini o taciuti dall’informazione corrente. Lo stesso film scelto per l’inaugurazione, Paradis, affronta l’urgenza di interventi richiesti dai cambiamenti climatici raccontando gli incendi che nell’estate del 2021 hanno devastato i territori nel nord-est della Siberia. Al centro ci sono gli abitanti di un villaggio, Shologon, che coperti dalla cenere dei boschi in fiamme devono affrontare quanto accade da soli, senza alcun supporto governativo.
Ma appunto il confronto con la realtà e le diverse questioni che pone alla forma e allo sguardo cinematografico è al centro del festival. E questo a cominciare dal concorso, che va da storie personali in chiave collettiva – come The Fuckee’s Hymn di Travis Wilkerson, in cui il regsta americano evoca la figura di suo padre, Willima, veterano della guerra in Vietnam, per decostruire l’idea dell’«eroe di guerra» che cela la natura del conflitto e la sua violenza. Alla ricerca dellea storia come El Chinero, un cerro fantasma di Bani Koshnoudi, artista e regista iraniana che vive ore a Parigi, dopo avere vissuto in Messico dove il film, un cortometraggio è girato e nel deserto della Bassa California prova a ritrovare le tracce delle migliaia di cinesi morti fuggendo da Paese.
E ancora la sezione Front(s) Populaire(s)a che come si legge sul sito del festival «vuole essere un luogo di riflessione di impegno» , in cui troviamo Tara, film molto bello di Francesa Bertin, regista italiana che vive e lavora in Germania, e Volker Sattel, sul fiume vicino a Taranto, un luogo in cui si mescolano leggende, inquinamento, ricatti del presente.

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