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Cina, Xi Jinping mette la mafia nel mirino

Cina, Xi Jinping mette la mafia nel mirinoIl presidente cinese Xi Jinping

Cina Dopo la durissima campagna anti corruzione adesso è il turno delle triadi. Il presidente cinese così promette di «schiacciare le mosche» che ostacolano la lotta contro la povertà in Cina

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 8 febbraio 2018

Dalla corruzione al crimine organizzato. La campagna lanciata cinque anni fa da Xi Jinping per ripulire il Partito comunista dagli elementi dissoluti estende il proprio raggio d’azione arrivando «a scavare in profondità» nelle viscere del malaffare. Il virgolettato è mutuato dal documento rilasciato dal Comitato centrale del Pcc e dal Consiglio di Stato a fine gennaio: «Notifica sulla lotta speciale condotta per spazzare via le gang criminali e debellare il male».

AVVIATA PERSONALMENTE dal presidente cinese, la nuova campagna antimafia coinvolgerà 30 organi statali e di Partito con lo scopo conclamato di rafforzare la legittimità della leadership e ravvivare la fiducia del popolo nei confronti dei vertici del potere. Partendo dal basso, però. Secondo il comunicato, infatti, la lotta contro le triadi –  le organizzazioni criminali cinesi di stampo mafioso – aiuterà a «schiacciare le mosche», i funzionari di rango inferiore che operano a livello di contea e villaggio.
Quelli tradizionalmente meno inclini ad allinearsi alle politiche del governo centrale e con cui i cittadini si trovano a trattare quasi quotidianamente, mentre «le tigri» (gli alti papaveri) rimangono celebrità da notiziari della Cctv. Facile intuire l’esistenza di un nesso con la lotta alla povertà, l’altro cavallo di battaglia con cui Xi punta a conquistare legittimità agli occhi del popolo.

NEGLI ULTIMI ANNI, 970 persone sono state arrestate per aver utilizzato in maniera impropria parte dei 30 miliardi di dollari stanziati per liberare 70 milioni di cinese dallo stato di povertà entro il 2020. Non a caso la missione della campagna anticrimine è duplice: «assicurare la stabilità del paese» e «chiarire chi è a favore o contrario» al Pcc (che oltre la Muraglia si sovrappone allo Stato) nel consolidamento del potere politico grass-root. Si capisce come il miglioramento della qualità della vita sia un fattore collegato al mantenimento della stabilità sociale.

SECONDO QUANTO RIFERITO a stretto giro da Guo Shengkun, segretario della Commissione per gli Affari politici e legali, a finire nel mirino saranno soprattutto il gioco d’azzardo, la pornografia, il contrabbando di stupefacenti, il traffico di esseri umani, e le vendite piramidali. Tutte quelle attività che, come spiega l’agenzia statale Xinhua, si avvalgono dei vuoti normativi per sfruttare i settori della logistica e dei trasporti attraverso società di comodo regolarmente registrate. Nessuna pietà nemmeno per le aziende che concedono prestiti con interessi usurai, piaga sociale nell’era della finanza online Un altro elemento di instabilità agli occhi del Partito.

COME SPIEGA il People’s Daily, in realtà il giro di vite nei confronti della criminalità era partito nel gennaio 2016, quando la Procura suprema aveva ordinato di sconfiggere le triadi nei villaggi. Da allora, solo nella provincia del Guangxi 1.200 persone sono state perseguite penalmente per il loro coinvolgimento nella mafia locale, mentre a Xiongan – la nuova zona economica dello Hebei voluta da Xi come contraltare settentrionale a Shanghai – un bizzarro piano richiede ad ogni contea di gestire almeno un caso criminale al mese.

«GLI UFFICI di pubblica sicurezza locali devono rendere noti i loro numeri di cellulare al pubblico in modo che i residenti possano denunciare i crimini», spiega il China Daily mettendo in evidenza l’altro elemento cardine: la partecipazione popolare che in Cina vanta un lungo trascorso di delazioni più o meno spontanee, dai baojia di epoca Song (sistema comune di applicazione delle leggi e controllo civile su base famigliare) alle denunce della Rivoluzione Culturale fino alle soffiate delle migliaia di volontari che tutt’oggi vigilano su Pechino con una fascia rossa al braccio.

A FRUGARE BENE tra le pieghe della storia recente di yanda («colpire duro») si torna a parlare fin dagli anni ’80, quando Deng Xiaoping varando le prime riforme economiche mise bene in chiaro che nessuno, per quanto di nobili natali, sarebbe più stato al di sopra della legge. A farne le spese fu il figlio del generale Zhu De – un «principino» comunista – mandato al patibolo per teppismo all’età di 25 anni. Seguirono le campagne nazionali del 1996, 2001 e 2010, annus horribilis contraddistinto da una lunga scia di omicidi ai danni di bambini, anziani e disabili. Ma è nella defilata megalopoli del sud-ovest, Chongqing, che nel 2009 si è assistito alla più clamorosa «caccia alle streghe», fruttata 5,000 arresti e la confisca di beni per oltre 473 milioni di dollari in soli dieci mesi.

È PROPRIO CON LO SLOGAN «spazzare via il nero» che l’allora capo del Partito locale Bo Xilai conquistò l’approvazione della pancia del paese. E poco importa se le incarcerazioni furono il frutto di torture e confessioni forzate indirizzate contro avversari politici. Dal 2013 Bo si trova dietro le sbarre – ufficialmente – con l’accusa di corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere. Ma il suo modello, a base di populismo rosso e anticrimine, vive anche in alcune iniziative autografate da Xi. Ci si chiede se questo valga anche per le modalità spietate e la natura politica delle operazioni anticorruzione, da tempo descritte sulla stampa internazionale come un regolamento di conti declinato al rafforzamento dello strapotere nelle mani di Xi, l’unico leader dai tempi di Mao ad aver visto il proprio nome comparire nella costituzione del Partito mentre è ancora in vita.

SEBBENE IL RECENTE comunicato vieti i metodi coercitivi nelle indagini e anteponga la presenza di prove schiaccianti alla risoluzione dei casi, la traiettoria altalenante con cui procede la riforma del sistema giudiziario annunciata durante il IV Plenum giustifica le molte alzate di sopracciglio.

A preoccupare è l’imminente istituzione di una Commissione nazionale per la supervisione incaricata non più soltanto di valutare l’operato dei 90 milioni di iscritti al Partito  – come l’attuale commissione disciplinare – ma anche tutti i dipendenti pubblici. Quindi funzionari governativi ma anche medici, insegnanti e impiegati nelle aziende statali. Stando alla bozza della legge che ne regolerà il funzionamento, la nuova agenzia non solo opererà al di sopra della Corte Suprema e della Procura Suprema del popolo, ma non sarà nemmeno soggetta al controllo del Consiglio di Stato.

Un aspetto che per il Nikkei ridimensionerà la figura del premier Li Keqiang, già svuotata con la creazione di team dal taglio economico alla cui guida siede proprio Xi. La notizia cattiva è che se la Commissione svolgerà un ruolo attivo nella nuova campagna antimafia difficilmente si procederà verso una maggiore trasparenza dei processi decisionali.

QUELLA BUONA è che forse l’assolutismo del lider maximo faciliterà la rimozione delle sacche di resistenza a cui viene attribuito il rallentamento delle riforme. Se poi a cadere nella rete sono pretendenti al «Trono di Spade» tanto meglio. D’altronde, era ancora il 2015 quando la rivista Caijing metteva a nudo i legami tossici tra le triadi e il governo dello Shanxi, una provincia ricca di carbone nonché feudo politico di Ling Jihua, una delle «tigri» corrotte ingabbiate da Xi.

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