La Ue alza i toni con la Cina e si prepara a «rivedere» le relazioni economiche, mentre i negoziati commerciali sono bloccati e una data per un vertice tra Bruxelles e Pechino è in sospeso. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che sarà in Cina assieme a Emmanuel Macron dal 4 aprile, ha affermato ieri che bisogna «riesaminare» gli accordi, per garantire una «nuova strategia sulla sicurezza economica» europea con il Comprehensive Agreement on Investment in discussione dal 2020, una relazione ora «non bilanciata».

Una revisione diventata necessaria, perché «dobbiamo riconoscere che il mondo e la Cina sono cambiati negli ultimi tre anni». Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, che da ieri è in Cina anche in vista della prossima presidenza spagnola del Consiglio europeo, ha invitato Pechino ad «aprirsi per non obbligare la Ue a chiudersi».

LA UE VUOLE ridefinire le relazioni, prima di tutto per evitare i rischi di un uso delle tecnologie di punta occidentali a fini di guerra: von der Leyen ha messo in guardia su «investimenti sensibili che possono portare allo sviluppo di capacità militari». Gli europei osservano una Cina «più repressiva a casa e più sicura di sé fuori», con posizioni «deliberatamente più dure».

Dal 2019 un «trittico» guida le relazioni tra Bruxelles e Pechino: 1) Cina come partner commerciale e interlocutore su grandi temi internazionali, come il clima; 2) Cina concorrente tecnologico e economico; 3) Cina come «rivale sistemico». Olaf Scholz, che è stato in Cina nel novembre scorso, al Consiglio europeo la scorsa settimana ha ribadito che questo trittico resta efficace.

Ma la Ue ha reagito con preoccupazione alle ultime mosse di Pechino nelle relazioni internazionali, ha visto un «indurimento deliberato della strategia cinese». A Mosca a metà marzo il presidente Xi Jinping ha incontrato Vladimir Putin per la 39esima volta, proprio dopo il mandato di arresto emesso contro il presidente russo dalla Corte penale internazionale.

La tradizionale «amicizia senza limiti» tra Mosca e Pechino ha certo delle sfumature, ma gli europei hanno interpretato il piano cinese in 12 punti per mettere fine alla guerra in Ucraina più come una «mediazione pro russa» che un vero piano di pace.

Gli europei interpretano i numerosi contatti – 15 da dicembre – con ministri dei paesi Ue del più alto diplomatico cinese, Wang Yi (che a febbraio, prima di andare a Mosca, ha anche incontrato a Monaco il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba) come un tentativo di Pechino di rompere il fronte occidentale, vista la tensione crescente con gli Usa, esasperata in questi giorni dal «transito privato» della presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, con due tappe negli Stati uniti.

I BALTICI, in particolare, hanno messo in guardia i partner Ue di fronte alle dichiarazioni di amicizia tra Xi e Putin a Mosca: «Aprite gli occhi». Gli europei puntano a una relazione con Pechino che eviti la dipendenza dalla produzione e dalle risorse asiatiche e che non ripeta gli errori fatti con la Russia e le energie fossili.

L’espansionismo economico cinese al di là dell’Asia – nella Ue stessa e ai suoi margini (nei Balcani), in Africa, in America latina – si sta unendo a iniziative diplomatiche, come l’improbabile piano di pace per l’Ucraina, ma anche il recente avvicinamento tra Arabia saudita e Iran: la Ue osserva con attenzione l’accentuazione dell’asimmetria nella relazione tra Cina e Russia, con Mosca, anche come conseguenza delle sanzioni Ue, ridotta a diventare un vassallo di Pechino, fornitore di energie fossili contro tecnologia e prodotti industriali.