Nel settembre 2020, dopo la denuncia pubblica di una donna, il caso era esploso: centinaia di tombe di feti nel cimitero romano Flaminio con il nome delle gestanti sulle lapidi. Una follia nata da una catena di errori che riguardavano anche il Comune di Roma e la Asl. Ieri il Garante della privacy, che subito si era attivato per fare luce sulla vicenda, ha emesso il proprio verdetto: una sanzione da 176mila euro per Roma Capitale e 239mila euro per Ama, società cui è affidata anche la gestione dei servizi cimiteriali. Solo un ammonimento per la Asl Roma 1.

Dall’istruttoria del Garante è emerso che la diffusione illecita è stata originata da una comunicazione di dati effettuata in violazione del principio di minimizzazione. La Asl Roma 1 aveva trasmesso ai servizi cimiteriali la documentazione con i dati identificativi delle donne. Le informazioni erano state poi riportate nei registri cimiteriali (rendendo così possibile l’identificazione delle donne che avevano pratica un aborto) e sulle croci, nonostante la normativa preveda che si possano indicare solo le generalità del defunto.

Il Garante ha ordinato all’Asl di non riportare più le generalità delle donne “in chiaro” neppure sulle autorizzazioni al trasporto e alla sepoltura e sui certificati medico legali. L’Autorità ha anche indicato alla Asl alcune misure tecniche per cifrare i dati e poter individuare la sepoltura del feto senza consentire di risalire all’identità delle donne.

Il Campidoglio, nel novembre 2022, con la giunta Gualtieri, aveva già deliberato una modifica al regolamento di polizia cimiteriale del 1979 per impedire che i nomi delle donne fossero riportati sulle tombe. Era stato anche deciso di sostituire, al lotto 108 del cimitero Flaminio, le vecchie croci con dei cippi funerari e un codice alfanumerico, da riportare su un registro consultabile solo dalle donne interessate.

«Abbiamo sempre saputo della totale violazione e abbiamo dovuto attendere ma oggi – commenta la presidente di Differenza Donna Elisa Ercoli – giustizia è fatta». La sua associazione si era rivolta anche alla procura, ma i giudici avevano archiviato i procedimenti a carico del personale sanitario e dell’Ama per la confusione sulla regolamentazione locale in materia di sepoltura. «È giusto così. Il Garante ha ripristinato il rispetto delle norme», fice Cecilia d’Elia del Pd. «Una pronuncia storica, un’enorme vittoria per le migliaia di persone che, non solo a Roma, vedono calpestati i propri diritti», dicono Giulia Crivellini e Francesco Mingiardi di Radicali italiani.