Chinnici resta candidata. Ma nel Pd volano stracci
Mai c’era stata una folla come questa: ben sei candidati (sulla carta) per la poltrona di governatore in Sicilia. Comunque vada a finire, chi mastica di legge elettorale si dice sicuro che dalle urne uscirà l’Assemblea regionale più balcanizzata della storia. Finita l’era Musumeci, sul Palazzo d’Orleans puntano dritto Renato Schifani (centrodestra), Caterina Chinnici (Pd e Centopassi), Cateno De Luca (Sicilia Vera), Nuccio Di Paola (M5S), Gaetano Armao (Azione e Iv), Eliana Esposito (Siciliani liberi). Tra domani e dopodomani si dovranno presentare le liste e i listini dei candidati a presidente e il quadro sarà più chiaro. Nessuno azzarda ora previsioni: troppa frammentazione. E la concomitanza delle politiche aggrava gli scenari, per via dei «trombati» pronti a spostare pacchetti di voti, brandendo l’arma del voto disgiunto.
Il «sì» di Caterina Chinnici all’appello estremo di Enrico Letta a confermare la candidatura fa tirare un sospiro di sollievo al Pd. Ma è solo apparenza. In realtà il partito è allo sbando. Sotto accusa Anthony Barbagallo, segretario regionale di Area Dem: in direzione regionale gli orfiniani hanno chiesto le sue dimissioni, così come gli ex renziani. Nonostante il M5S abbia mollato l’alleanza giallorossa lanciando Nuccio Di Paola, il Pd continua a subire le pressioni di Conte che sta cavalcando la polemica sugli «impresentabili». Tant’è che nelle liste Pd non ci saranno tre pezzi da novanta: Giuseppe Lupo, ex segretario regionale e attuale capogruppo all’Ars con tre legislature alle spalle; Angelo Villari, che sì dimesso dalla guida del Pd a Catania e si candiderà con il movimento Sicilia Vera di Cateno De Luca, e Luigi Bosco anche lui catanese. Lupo è a giudizio da tre anni per una vicenda di corruzione nell’ambito dell’inchiesta Saguto, processo che non aveva impedito al Pd di candidarlo alle comunali di Palermo (è stato pure eletto); Villari e Bosco sono sotto processo per il dissesto del comune di Catania (erano assessori ai tempi di Enzo Bianco). Persino Claudio Fava (Centopassi) s’era detto contrario alla scelta giustizialista di Chinnici, ma c’è una campagna elettorale da fare.
La base del Pd è sconcertata e frastornata. I più duri sono stati gli orfiniani, guidati in Sicilia da Antonio Rubino, che aveva attaccato Barbagallo per avere acconsentito all’estromissione dalle liste per le politiche di Fausto Raciti, ex segretario dem siciliano e uomo di punta a Roma. «Hai distrutto una comunità, delegittimato storie politiche, attuato sistemi peggiori di quelli dei partiti di destra – accusa Rubino – La tua permanenza alla guida del Pd rischia di causare una balcanizzazione costante: hai il dovere di farti da parte».
In questo bailamme, Barbagallo prova a serrare i ranghi. C’è voluto l’intervento di Beppe Provenzano prima e poi di Letta per convincere Chinnici a non rinunciare a correre, dopo il dietrofront di Conte. E così ieri è arrivata la conferma: andrà avanti. «Non volterò le spalle agli elettori, quelli che hanno votato alle primarie e anche i tantissimi altri che sono pronti a sostenermi riponendo precise aspettative nella mia storia, dandomi una consegna di responsabilità della quale, nel mio ruolo guida, intendo essere garante», afferma Caterina Chinnici. «Grazie per il tuo impegno e la tua coerenza. E per il rispetto del voto delle primarie», scrive su Twitter Enrico Letta. Se l’eurodeputata avesse scelto di mollare, il Pd si sarebbe trovato quanto meno in una situazione imbarazzante avendo nel simbolo la scritta «Chinnici presidente» ma senza Chinnici.
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