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Chernobyl ora è il luogo più «sicuro» dove fuggire

Chernobyl ora è il luogo più «sicuro» dove fuggireLa città di Pripyat – Ap

Ucraina, sul filo del rasoio Quello che preoccupa maggiormente sono gli sconvolgimenti dell’ecosistema che un’«invasione» procurerebbe sull’intera area

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 18 febbraio 2022

Il governo ucraino guarda con preoccupazione l’ammassamento di truppe russe al confine bielorusso, in particolare nelle cittadine di Rečika e di Zyabrovkae. Lo scorso 4 febbraio, alla presenza del ministro della difesa Oleksiy Reznikov, la stampa internazionale è stata invitata ad osservare addestramenti di truppe di Kiev impegnate in una serie di esercitazioni nella zona di esclusione di Chernobyl. È proprio da qui che, secondo il comando ucraino, cercheranno di passare i militari dell’esercito russo in caso di invasione. L’alternativa sarebbe passare da Černihiv, ma la moderna autostrada a quattro corsie che collega direttamente al confine bielorusso è controllata da blindati ucraini e la resistenza potrebbe rallentare l’avanzata delle truppe di Mosca.

Qui a Chernobyl, invece, i russi potrebbero giocare in casa: dal 1986, anno dell’incidente nucleare alla centrale Vladimir Lenin, nulla è cambiato. Gli edifici, le strade, le carcasse dei mezzi utilizzati per spegnere l’incendio sprigionatasi dal reattore numero 4, i bunker, i ponti, le caserme, gli scantinati, persino i cimiteri situati nei 2.600 chilometri quadrati della Zona di esclusione sono rimasti esattamente come erano nel 1991, quando a seguito del dissolvimento dell’Unione Sovietica, Mosca ritirò le sue truppe e i suoi tecnici lasciando all’Ucraina il compito di controllare una centrale che era diventata un peso insopportabile. Della zona i comandi russi hanno le cartine topografiche più accurate dell’intera Ucraina.

Neppure le radiazioni rappresentano un grosso ostacolo: le continue dichiarazioni espresse dagli ucraini secondo cui i militari russi che si addentrerebbero nell’area contaminata assorbirebbero così tante radiazioni da non uscirne vivi, sono frasi a effetto propagandistico ad uso e consumo della stampa.

In realtà il livello di radioisotopi oggi presenti nella maggior parte del suolo è generalmente piuttosto basso: nel centro di Prypiat la media delle misurazioni per tutto il 2021 ha rilevato valori attorno a 8 mSV/annui, simili a quelli in piazza San Pietro a Roma. I turisti che a decine di migliaia arrivano (o meglio arrivavano) a visitare l’area entrando anche nella centrale nucleare, dopo una giornata di tour assimilavano livelli di radiazioni pari a 0,1 mSv, una quantità pari ad una schermografia ai raggi X al torace; non poco se rapportati ad un arco di tempo annuale, ma tollerabili se si pensa che vi sono zone sulla Terra in cui la radioattività naturale rilascia valori ben più alti e continuativi. Sono ormai anche abbastanza frequenti le squadre di giovani ucraini, gli “stalker”, che entrano illegalmente nelle aree interdette vivendo in case abbandonate per diversi giorni, se non settimane: “Ti senti libero, non hai obblighi verso nessuno e non devi neppure pagare l’affitto. Riesci anche a trovare il tempo per studiare e preparare gli esami all’università” dice uno di questi ragazzi. Queste nuove comunità itineranti si aggiungono ai circa 180 samosely, cittadini, per lo più anziani e pensionati, che volontariamente si sono reinsediati nella zona sin dai primi mesi dopo l’incidente.

Il vero ostacolo che le truppe russe dovranno invece cercare di aggirare sono gli hotspots. Sono aree, più o meno vaste e disperse a macchia di leopardo su tutto il territorio inquinato, contenenti quantità considerevoli di radioisotopi che si sono concentrati per via di particolari microclimi, della composizione chimica del suolo e di microorganismi capaci di metabolizzare elementi come cesio e stronzio. Nel corso degli anni la polizia ucraina ha tracciato sentieri che aggirano questi hotspots e comunque i continui rilevamenti fatti da tecnici specializzati sono pubblicamente disponibili su internet. I comandi russi avranno quindi la possibilità di pianificare al meglio l’avanzata scegliendo percorsi meno invasivi.

Quello che preoccupa maggiormente, non solo il governo ucraino, ma anche la comunità scientifica internazionale impegnata a monitorare la situazione di Chernobyl, sono gli sconvolgimenti dell’ecosistema che un’«invasione» procurerà sull’intera area.
Le decine di carri armati, di camion, jeep, le migliaia di scarponi che calpesteranno e rivolteranno il suolo, rimescoleranno gli elementi radioattivi presenti nell’area liberandoli nell’atmosfera.

E una volta abbandonata la Zona di esclusione, il terreno e i vestiti impregnati di radioisotopi verranno rilasciati al di fuori di essa, allargando l’area di contaminazione. I ricercatori quindi si troveranno di fronte all’incubo di dover ripetere ex novo misurazioni, tracciati, tracciamenti che sino ad oggi avevano consentito di realizzare numerose conclusioni sia dal punto di vista medico, sia ambientale.

Questo allargamento della contaminazione rischia di colpire le centinaia di profughi interni provenienti dalle autoproclamate repubbliche popolari del Donetsk e della Luhansk che si sono installate a ridosso dei confini dell’Area di esclusione di Chernobyl. Sono famiglie, spesso senza il capofamiglia, rimasto a lavorare nelle città principali, che hanno trovato rifugio in case fatiscenti, senza elettricità, acqua potabile, riscaldamento. Una casa in queste zone dove nessuno vuole abitare, costa circa 4.000 euro, troppo per chi ha una pensione statale da 80-90 euro. E allora ci si accontenta di affittare catapecchie dalle pareti in legno otturando gli spifferi con carta, stracci o lamiere a 3-4 euro al mese.

Paradossalmente, il posto più sicuro in cui stare in caso scoppiasse un conflitto in Ucraina, è quello che a lungo è stato visto come il posto meno sicuro al mondo: la centrale nucleare di Chernobyl. Nel suo interno i lavoratori hanno già avuto precise istruzioni sulle procedure di sicurezza, ma nessuno, al di là di un’eventuale propaganda, pensa che la centrale sarà oggetto di contesa tra le due parti. Putin sa bene che ogni manomissione o interferenza nel buon andamento della decommissione in atto e del controllo del reattore numero 4 comprometterebbe il già delicato appoggio dato da Xi Jinping. Il leader cinese, infatti, non vuole ostacoli interni al progetto di rilancio energetico cinese, in cui il nucleare ha una parte preponderante. Far riemergere l’incubo Chernobyl potrebbe deragliare il piano da lui stesso disegnato.

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