Cgil: «Eutanasia e cannabis: boicotteranno i referendum. Ma sarà un autogol»
Intervista Parla Sandro Gallittu, responsabile ufficio Nuovi diritti del sindacato. «Come ai tempi della legge 40 tenteranno il sabotaggio impedendo di raggiungere il quorum. Perché sanno che, se si portassero davvero gli italiani a votare, perderebbero»
Intervista Parla Sandro Gallittu, responsabile ufficio Nuovi diritti del sindacato. «Come ai tempi della legge 40 tenteranno il sabotaggio impedendo di raggiungere il quorum. Perché sanno che, se si portassero davvero gli italiani a votare, perderebbero»
Omotransfobia, eutanasia, cannabis: sono i temi sui quali, come è stato già ricordato su queste colonne, si misura attualmente (ma si potrebbe parlare ancora di cittadinanza, fecondazione assistita, paternità e maternità, diritti del bambino…) la distanza tra partiti e società “civile”. Così, mentre in parlamento si affossa il ddl Zan, si cerca di eludere il diktat della Consulta sul suicidio assistito boicottando il testo base sull’eutanasia, e si glissa sulla legalizzazione del mercato dello stupefacente più usato in Italia, il più grande sindacato italiano si mobilita sul fronte dei referendum. «Perché a differenza di certa politica, noi siamo sui territori e ci sforziamo di capire come sta cambiando la società», dice Sandro Gallittu, responsabile ufficio Nuovi diritti della Cgil nazionale.
Avete raccolto firme per la depenalizzazione dei fatti di lieve entità legati alle droghe e per la legalizzazione dell’eutanasia. Non vi sembra, soprattutto quest’ultimo, un tema troppo “divisivo”?
Non l’abbiamo mai considerato tale, lo consideriamo un tema di libertà dei cittadini, ed è assolutamente in linea con la nostra storia: Susanna Camusso fu una dei testimonial della prima legge di iniziativa popolare che si chiamava «Liberi fino alla fine» e che è rimasta giacente in parlamento. Ma soprattutto siamo in linea con la nostra impostazione sui nuovi diritti, il cui ufficio esiste ormai da quasi trent’anni, quando il segretario era Bruno Trentin: partiamo dal presupposto che le lavoratrici e i lavoratori che rappresentiamo sono soggetti portatori di diritti non solo sul lavoro ma anche negli altri momenti della vita. Ogni persona è un unicum e va tutelata, come prevede il nostro statuto, nella sua libertà di scelta, anche nel privato.
Che tipo di reazione avete avuto dal vostro mondo?
Abbiamo avuto l’adesione di moltissime camere del lavoro, soprattutto nelle grandi città. E nessuno si è stupito. Siamo un sindacato confederale e la confederalità sta anche in questo: non rappresentare esclusivamente il mondo del lavoro ma anche una società che evolve e che inevitabilmente si pone nuovi quesiti.
Non avete paura di urtare la sensibilità dei lavoratori cattolici?
Noi pensiamo che questo tema diventa divisivo solo nel momento in cui si avalla una sorta di commistione tra norma religiosa e norma civile, cosa dalla quale noi assolutamente rifuggiamo. Le leggi che riconoscono le libertà individuali non impongono a chi ha una sensibilità diversa, una diversa opzione religiosa, di aderire a quelle norme. È una possibilità data a chiunque da uno Stato laico che prescinde dalla norma religiosa. La libertà non impone a nessuno di esercitare quel diritto. Il contrario, legiferare secondo le convinzioni religiose o morali, sarebbe invece un’imposizione illiberale.
Come mai questo punto di vista non riesce a smuovere un partito come il Pd?
Limitiamoci ai fatti: la proposta di iniziativa popolare giace ormai da due legislature e dunque è in scadenza, come previsto dalla legge. Fino a quando non c’è stata la sentenza della Corte costituzionale nulla si è mosso, e anche adesso si fa di tutto per non cambiare alcunché. La classe politica si è svegliata solo quando l’associazione Coscioni ha deciso di indire un referendum. Ma le norme fin qui elaborate si limitano solo a rispecchiare la sentenza della Consulta. Dunque, sarebbe una legge inutile perché il dispositivo della Corte costituzionale è comunque immediatamente applicativo. Il legislatore avrebbe dovuto fare un passo in più. Riguardo al Pd, non ha mai avallato davvero l’iniziativa, pur senza opporvisi. Ma la storia dovrebbe insegnare che gli elettori vogliono dai propri partiti parole chiare, non ambigue per tentare di non scontentare nessuno. Così, si finisce per scontentare tutti.
Avete aderito anche al referendum sulla legalizzazione della cannabis. Le 630 mila firme raccolte sono davvero rappresentative o il frutto di una deriva digitale della democrazia?
Nel caso della cannabis non ne facciamo una questione di diritti ma soprattutto di sottrazione del mercato alla malavita organizzata. Siamo convinti che il fenomeno dell’uso di sostanze non si sconfigga con il proibizionismo. Per quanto riguarda la firma online credo sia una grandissima conquista anche per il futuro, un avanzamento – non una deriva – della democrazia perché consente di partecipare attivamente alla vita politica anche a chi vive all’estero o ha difficoltà ad uscire di casa, chi vive nelle province più remote, o semplicemente non ha molto tempo. Hanno detto di tutto, sottovalutando le persone che hanno firmato. Hanno parlato di «clickocrazia» e cose del genere, francamente offensive del senso civico delle persone.
Il papa ha parlato di «cultura dello scarto», riguardo all’eutanasia, sposando le posizioni più oltranziste della politica cattolica.
In generale, per fedeltà al principio di laicità, evito di commentare le dichiarazioni dei religiosi su questi temi. Trovo però davvero molto degradante che si riduca e si banalizzi così questa discussione, offendendo le persone che in questi anni hanno sofferto e hanno reclamato una legge come questa. Persone che di sicuro non sono portatori di una cultura dello scarto.
La destra promette di fermare i referendum, come ha fatto con la legge Zan.
Si sta mettendo la discussione sullo stesso piano in cui la si mise ai tempi del referendum sulla legge 40 (fecondazione assistita, ndr) tentando la via del sabotaggio attraverso il non raggiungimento del quorum. Perché sanno che con tutta evidenza se si portassero davvero gli italiani a votare su questo tema, la stragrande maggioranza sarebbe d’accordo con il legalizzare una pratica che già esiste illegalmente.
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