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Cerca lo stipendio, trova il rimpatrio. L’ordinaria ingiustizia contro Naffati

Uomini e mezzi della Polizia al CPR centro di permanenza e rimpatrio di via Corelli a Milano foto AnsaUomini e mezzi della Polizia al CPR centro di permanenza e rimpatrio di via Corelli a Milano foto Ansa

Milano Era andato a denunciare il datore di lavoro e lo hanno rimandato in Tunisia. Il caso dopo i video su TikTok, tra canzoni di Ghali e decine di migliaia di visualizzazioni

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 23 ottobre 2024

Doveva denunciare un assegno scoperto. Prima è finito in un Cpr, poi è stato rimpatriato in Tunisia dove è atterrato lunedì notte. Mohamed Naffati, originario di Sousse, città sulla costa tunisina, è arrivato in Italia dieci anni ed aveva fatto richiesta di protezione internazionale per l’ultima volta a settembre 2023.
Dopo aver vissuto a lungo a Roma, lavorando come barista, si era da poco trasferito al nord in cerca di un lavoro migliore: dopo aver trovato un impiego vicino Como si è recato in questura nella stessa città il 10 ottobre, per denunciare il suo precedente datore di lavoro per avergli pagato 680€ con un assegno scoperto che non poteva incassare.

«I soldi mi servivano per pagare l’otorino» racconta Naffati, che a seguito di un incidente avuto nel 2018 soffre di ipoacusia da un orecchio. Da lì è stato prelevato e trasferito nel Cpr di via Corelli a Milano, dove è iniziato il processo che lo ha portato ad essere rimpatriato: due provvedimenti – quello di trattenimento e quello di espulsione – entrambi ritenuti illegittimi dai suoi avvocati.

«Mi hanno detto che dopo 48 ore sarei stato libero, ma era una bugia – racconta -, la prima notte non ho dormito nel modulo. Poi la mattina mi hanno fatto entrare, mi hanno messo le manette e sono stato picchiato». Dal Cpr dove è stato per dieci giorni Naffati ha portato avanti una denuncia e una cronaca del suo arresto, postando regolarmente video su TikTok. «Ho tutti i documenti, non so che sto a fare qua» dice nel primo video, pubblicato l’11 ottobre, che ha raccolto più di 23mila like e 160 mila visualizzazioni. Sopra di lui campeggia la scritta «Non esiste ’sta ingiustizia». In un altro video afferma di aver pensato di morire, mentre nei giorni successivi riporta di essere stato male ed essere stato per questo portato in ospedale. Probabilmente una cistite, racconta una persona a lui vicina con cui è rimasto in contatto durante la detenzione, tuttavia mal curata dal momento che avrebbe dovuto ricevere degli antibiotici che non ha mai avuto. Il racconto in presa diretta è tutto registrato nel cortile del Cpr di via Corelli, mentre una canzone di Ghali in sottofondo recita «tu sogni l’America io l’Italia».

Naffati nel Cpr però non avrebbe mai dovuto entrarci. Come spiega Anna Moretti, avvocata del Naga – associazione che fornisce assistenza legale e sociale a cittadini stranieri – designata dal ragazzo, l’istanza di trattenimento del giudice di pace è illegittima perché non di sua competenza. A pronunciarsi avrebbe dovuto essere invece la sezione speciale immigrazione del tribunale di Milano, per cui adesso si prepara un ricorso.

La formalizzazione della nomina di Moretti inoltre è stata piuttosto tardiva, ufficializzata solo tre giorni dopo che era stata indicata e quando il giudice si era già pronunciato. All’udienza era presente invece in collegamento la precedente avvocata del ragazzo. Non solo, il trattenimento di Naffati non avrebbe dovuto avvenire anche in base alle sue precedenti esperienze nei Cpr: già a dicembre 2022 era stato nel Cpr di Bari, ma il medico non lo ritenne idoneo alla vita in comunità ristretta a causa di uno shock anafilattico dovuto a un’allergia. La visita preliminare al Sant’Anna di Como invece, racconta, è stata superficiale e non ha tenuto conto dello storico del ragazzo, con il medico che ha infine firmato la sua idoneità.

Moretti è riuscita a incontrare brevemente Naffati lunedì pomeriggio. Essendo richiedente asilo ed avendo ottenuto un appuntamento in questura per il 4 novembre per l’esame della sua domanda, non doveva essere espulso. Dopo un’ora i due sono stati separati, con la motivazione che la sala andava liberata. A quel punto Naffati non è stato ricondotto nel modulo, ma scortato all’aeroporto: «Sono stato caricato su un furgone della polizia con cinque agenti, e mi hanno detto che mi portavano a Malpensa ma non sapevano nulla». Da lì un volo per Tunisi da dove poi è tornato a Sousse, sua città natale. «In quei momenti nel Cpr mi chiedevo solo perché, perché ero lì. Non mi hanno trattato come si trattano gli esseri umani, ero andato solo a chiedere i miei diritti» dice mentre cammina per le strade della città. Ora non sa se tornerà in Italia, ma se sarà così, dice, lo farà «a testa alta, con i miei diritti».

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