È successo di nuovo e nessuno si aspettava altrimenti da un governo che fa della battaglia contro i diritti Lgbtqi+ e la parità di genere colonna della propria narrazione paternalista e nazionalista: venerdì 9 giugno l’undicesimo Pride del campus del Politecnico di Ankara, il Metu, è stato duramente represso dalla polizia turca, come negli anni precedenti.

Giovedì, mentre sui muri del campus apparivano minacciosi poster anti-Lgbtqi+, il rettorato vietava ufficialmente la marcia. Le e gli studenti sono andati avanti comunque. Hanno appeso un’enorme bandiera arcobaleno a una delle finestre della sede di Matematica e gridato slogan («Viva la vita nonostante l’odio», il più gettonato), ma non hanno fatto in tempo a marciare: il rettore aveva già chiesto l’intervento della polizia che si è presentata a bordo di autobus. Centinaia di agenti antisommossa hanno circondato il campus con vere e proprie barricate e disperso i manifestanti, poi sono entrati nella libreria e hanno arrestato almeno 15 persone, rilasciate nella serata di venerdì.

È andata «meglio» del 2019 quando 18 studenti e un professore, considerati gli organizzatori del Pride del Metu, furono arrestati e processati con l’accusa di «partecipazione a manifestazione non autorizzata»: rischiavano tre anni di galera. L’assoluzione arrivò due anni dopo.

Dal 2015 il tradizionale Pride di Istanbul è vietato dalle autorità governative turche. Il rettore del Metu si è adeguato: ha bloccato la marcia, dice, perché «viola la legge».