C’è posta per Renzi
Governo Il caso delle assunzioni alle Poste piomba su un Ncd prossimo alla dissoluzione. M5S, Si e Lega chiedono le dimissioni di Alfano. Il ministro non arretra. Ma il rischio incidente in Senato è dietro l’angolo
Governo Il caso delle assunzioni alle Poste piomba su un Ncd prossimo alla dissoluzione. M5S, Si e Lega chiedono le dimissioni di Alfano. Il ministro non arretra. Ma il rischio incidente in Senato è dietro l’angolo
Padri, fratelli, figli, fidanzati: la famiglia è la nemesi di questo governo, che in realtà è emanazione proprio del family day. E’ il turno della famiglia Alfano, dopo quelle Boschi, Lupi, Guidi e in questo caso il parentado è folto. Che Alessandro il fratello fosse entrato alle Poste da un porticina speciale e tutta d’oro si è scoperto ieri che lo sapevano tutti, senza bisogno di intercettazioni più o meno piratate. Ben 36 deputati del Pd avevano proposto una commissione d’inchiesta sulle assunzioni alle Poste già nel febbraio 2015.
Il Movimento 5 Stelle e Sel avevano denunciato il fattaccio ancora prima, addirittura nel 2013. Nessuno si è filato né gli uni né gli altri. Da papà sarebbero arrivate addirittura un’ottantina di segnalazioni per altrettanti amici in cerca di collocazione. Senza contare che il contatto diretto del faccendiere Raffaele Pizza se non è un parente di Angelino Alfano poco ci manca: David Tedesco è infatti vicinissimo al ministro.
Risultato: Alfano traballa, l’Ncd barcolla, il governo oscilla paurosamente. Ufficialmente il ministro degli Interni è in pausa di riflessione. Si è preso 24 ore per decidere che fare. Chiacchiere. Ha già deciso, senza stupire proprio nessuno, di restare attaccato alla poltrona. «Non ci sarà un nuovo caso Lupi», ha annunciato ai suoi. Formula di discutibile eleganza, dal momento che proprio lui aveva esercitato le massime pressioni per convincere l’allora ministro Maurizio Lupi a sgombrare il ministero delle Infrastrutture dopo l’affaire del Rolex regalato al figlio. Lupi, capo dei deputati, fa il signore e difende Alfano «vittima di un indecente sciacallaggio mediatico». Pare che in privato la sua difesa sia stata meno appassionata, e che gli sia sfuggita più di un’allusione ai «due pesi e due misure».
Ai suoi deputati Angelino Alfano ha spiegato che di dimissioni non se ne parla, soprattutto perché in ballo «c’è la tenuta del governo». Questione di senso della responsabilità, insomma. Le accuse poi le trova risibili, tutte ma in particolar modo quelle che riguarderebbero il babbo: «Un uomo di ottant’anni, il cui fisico è fiaccato da una malattia neurovegetativa, avrebbe fatto pressioni per non so quale fantastiliardo di segnalazioni».
Tra le opposizioni M5S, Si e Lega reclamano a gran voce le dimissioni. Non Forza Italia: «Siamo e saremo sempre garantisti», giura Renato Brunetta. Il sostegno più sofferto è quello del Pd. Il capogruppo alla camera Ettore Rosato lo elargisce, anche perché non potrebbe fare altrimenti: «Alfano sta facendo bene il suo lavoro. La richiesta di dimissioni è pretestuosa». Ma forse solo Renzi sa meglio di lui quanto costerà in termini di immagine, credibilità e alla fine consenso elettorale la difesa del titolare del Viminale. E il malumore, nei ranghi parlamentari democratici, si taglia col coltello.
L’Ncd ufficialmente difende a spada tratta il suo leader. Lo fa Lupi, che di motivi per masticare amaro ne ha di ogni sorta, sia politici che personali, e lo fa il collega capo dei senatori Renato Schifani, il cui dissenso dal leader è solo politico ma in compenso profondissimo. La torbida vicenda in effetti piomba su un partito già vicinissimo alla dissoluzione e inevitabilmente accelera il processo. Sono otto i senatori che non vedono l’ora di rientrare nell’esercito di Arcore. La richiesta di uscire dal governo e passare all’appoggio esterno è esplicita nel caso del senatore Giuseppe Esposito, che di solito esprime non solo quel che pensa lui ma anche quel che non può dire Schifani. Roberto Formigoni è dello stesso avviso e giustifica l’arretramento con le riforme: «Eravamo entrati al governo per farle, ora che sono state fatte appoggio esterno». Sintomo ancor più inquietante, due senatori, lo stesso Esposito e l’ex presidente della commissione Bilancio Antonio Azzollini hanno partecipato ieri alla riunione dei parlamentari di centrodestra per il No al referendum.
Il punto dolente è che il barcone centrista è già affondato e i naufraghi sono divisi tra quelli che vorrebbero salvarsi risalendo di corsa sul vascello azzurro e quelli che sperano di dar vita a un raggruppamento centrista, con l’Ala di Denis Verdini e quel che resta di Scelta civica: una zattera per affrontare le prossime elezioni con qualche speranza di non affogare. Ma anche questi ultimi avrebbero bisogno, per assicurarsi la salvezza, di una modifica dell’Italicum senza la quale tenere in vita il governo non avrebbe più alcun senso e che però quasi certamente non arriverà.
In una condizione che è già destabilizzata, il rischio può annidarsi dietro ogni angolo. Il braccio di ferro sulla prescrizione, per esempio, che in sé non sarebbe tale da minacciare il governo ma nel quadro dato lo può diventare, e persino il voto della settimana prossima sul bilancio degli enti locali, dove è richiesta la maggioranza assoluta e sul quale potrebbero sflilarsi anche 5 verdiniani. Ma con ogni probabilità, pur pagando un prezzo salatissimo, il governo riuscirà a passare l’estate. Ma sul fatto che poi arrivi anche al panettone oggi non scommetterebbe neppure il giocatore più spericolato.
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