Da qui ai prossimi vent’anni al centro di Roma e ora nei quartieri che lo circondano, potrebbe non esserci più neanche una casa popolare. Il dato spietato emerge da uno studio accurato, con tanto di mappe e geolocalizzazioni, realizzato dall’urbanista Enrico Puccini e presentato giovedì scorso da alcuni dei principali sindacati inquilini. È un fenomeno spaventoso dal punto di vista sociale e dai tratti distopici: interi pezzi di città storicamente vissuti da ceti popolari si ritrovano preda del mercato selvaggio e di una gigantesca opera di selezione di classe.

Il processo che ha trasformato la Roma storica in un parco turistico a tema o in una zona riservata ai ricchi coincide con l’inizio del cliclo neoliberista. Alla fine degli anni Ottanta si registrarono moltissimi sfratti per fine locazione. Col Giubileo del 1990, inoltre, molte delle case di proprietà del Vaticano assegnate ai normali cittadini vennero riconvertite in strutture ricettive o comunque vennero messe a valore. Infine, anche gli enti previdenziali decisero di vendere i loro beni immobiliari per fare cassa.

Adesso arriva la spallata finale nei municipi più centrali, quelli che convenzionalmente vengono circoscritti all’interno delle frontiere dell’anello ferroviario. Vi sono tre piani di vendita: due dell’Ater, l’azienda regionale che dovrebbe garantire il diritto alla casa, e uno del Comune di Roma. Il Campidoglio ha varato nel 2007 un piano di dismissione di 7410 appartamenti su 24 mila: si tratta di circa un terzo delle case popolari. L’Ater ha due piani di alienazione: il cosiddetto Piano Lupi del 2021 (che riguarda 7428 alloggi) e il Piano di Pregio del 2023 (da 3544 unità abitative). «In totale vi sono circa 14 mila alloggi popolari in vendita -commenta Massimo Pasquini di Unione inquilini – Se anche chi abita la casa con legittima assegnazione decidesse di non comprare l’appartamento in cui abita, questi sarebbero cancellati da quelli disponibili per le assegnazioni e destinati alla vendita all’asta». L’Ater dichiara nell’ultimo bilancio di aver fatto rogiti nel 2022 per 480 appartamenti. La legge del 2007 prevede l’alienazione del 30% del patrimonio residenziale pubblico: una volta concluse tutte le operazioni di vendita lo stock immobiliare pubblico passerebbe dai 24 mila alloggi del Comune a 16.590 e quello dell’Ater da 48 mila a 33.600. In sintesi: in un prossimo futuro le case popolarI passerebbero da 72 mila a 50 mila.

La giunta Gualtieri ha approvato un Piano Casa che pare rappresentare un’inversione di tendenza rispetto alle politiche degli ultimi trent’anni, delle quali i piani di dismissione dell’edilizia pubblica sono l’effetto. «Quel Piano è ncora è in via di attuazione – ci spiega ancora Pasquini – È una bella cornice che va riempita di contenuti. Bisogna acquistare alloggi, sostenere recuperi e autorecuperi». Dunque,, da una parte il comune di Roma vuole finalmente realizzare politiche strutturali, sebbene ancora da realizzare. Dall’altra, in città si è arrivati a una media si otto sfrattati al giorno. E si contano 14 mila famiglie in graduatoria, cifra che per una beffa della sorte corrisponde al numero di appartamenti che i diversi piani di vendita prevedono di dismettere.