Case Green: l’occasione per una buona politica industriale
Un’illustrazione di Rob Goebel per Ikon Images/Ap
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Case Green: l’occasione per una buona politica industriale

Ambiente Nell’Europarlamento la destra italiana, che nega i cambiamenti climatici, ha votato contro. In Italia parliamo di almeno 500 mila edifici pubblici e di 5 milioni di edifici privati
Pubblicato 8 mesi faEdizione del 14 marzo 2024

Pur con diversi limiti alla fine il Parlamento europeo ha approvato la Direttiva Case Green che ci dovrà portare da qui al 2050 a edifici ad emissioni zero, con già importanti interventi di riqualificazione entro il 2030. La destra italiana ha perso per l’ennesima volta una buona occasione votando contro. L’ha persa in termini di messaggio ai cittadini («i cambiamenti climatici non esistono, continuiamo con l’attuale modello di sviluppo») e questo soprattutto le giovani generazioni lo devono sapere. Ma l’ha persa anche in termini di visione industriale, di rilancio e trasformazione del nostro apparato produttivo per mantenere posti di lavoro e provare a crescere.

Se traduciamo infatti la direttiva in numeri, con il 55% della riduzione dei consumi energetici che dovrà essere ottenuto tramite la ristrutturazione degli edifici con le prestazioni inferiori, questo vuol dire che entro il 2030 le ristrutturazioni dovranno coinvolgere il 15% degli edifici in classe F e G e, entro il 2033, il 26%. Cioè il 40% degli immobili meno efficienti dovrà essere riqualificato (anche con interventi per l’autoproduzione energetica, solare in primis). In Italia stiamo parlando di almeno 500 mila edifici pubblici e circa 5 milioni di edifici privati. Spesso case di periferia dove vivono le persone con i redditi più bassi e che hanno le bollette più care (per capirci passare da classe F a D vuol dire risparmiare 1200 euro l’anno). Senza contare le nuove costruzioni. Insomma anche “tralasciando” il fatto che il 36% di tutta la Co2 prodotta e il 40% degli sprechi energetici sono causati dagli edifici, la destra avrebbe voluto rinunciare ad uno dei driver di sviluppo più importanti nel mondo, quello dell’efficienza energetica e della rigenerazione urbana. In un Paese dove la filiera costruzioni e attività immobiliari rappresenta il 20% del Pil e da lavoro ad oltre 2 milioni di persone. Siamo di fronte al caso più eclatante di scelta ideologia intesa come «negazione della realtà».

Ora però che la Direttiva è stata approvata e il governo dovrà entro fine 2025 predisporre il primo Piano Nazionale, occorre farci i conti e come Paese abbiamo una grande occasione. Dobbiamo attrezzarci subito in termini industriali, normativi e finanziari, per raggiungere gli obiettivi, farne una leva per più uguaglianza sociale e anche per avere lavoratori professionalizzati, imprese qualificate e produttori nazionali di materiali e tecnologie. Per questo chiediamo che il Governo apra subito un tavolo con le forze sociali, gli ambientalisti, i professionisti, gli enti locali, l’Enea, le grandi aziende energetiche e le banche.

Il 2025 è infatti domani e il 2030 è dopodomani. Dobbiamo procedere immediatamente ad un riordino degli strumenti finanziari e dei vari bonus, agendo tutte le leve a disposizione: intervento pubblico diretto (o delle imprese a partecipazione pubblica) per case popolari, scuole, ospedali; trasferimenti economici diretti fino al 100% per i condomini di periferia e i redditi più bassi, mutui verdi e contratti di cessione del risparmio energetico, concentrando tutte le risorse, nazionali e comunitarie, esclusivamente sulle prime case con le classi energetiche più basse.

Quindi dobbiamo attrezzarci per avere le professionalità necessarie, per evitare lavori fatti male e lavoratori sfruttati. Dobbiamo ora pensare a come rafforzare le filiere industriali che producono i vari sistemi tecnologi per l’edilizia, dai panelli solari alle nuove caldaie, dai nuovi materiali alla sensoristica, dalle nuove resine alle leghe metalliche. Dobbiamo cioè imparare dal passato, avendo obiettivi di medio termine da qui al 2030 e poi 2033 e 2035, e dobbiamo evitare speculazioni e rincari fuori controllo, di essere solo acquirenti di tecnologie prodotte altrove e di ridurci all’ultimo momento, con quella fretta e caos che poi nei cantieri producono infortuni, sfruttamento, irregolarità.

Infine dobbiamo attrezzarci per rendere omogenee e semplici le varie pratiche e interventi amministrativi, avere all’ingresso meccanismi di qualificazione delle imprese e degli operatori, fornire anche tramite specifici sportelli pubblici tutte le informazioni fondamentali ai cittadini. In conclusione è il momento della programmazione industriale, di fare della lotta ai cambiamenti climatici e per l’efficienza energetica, per la riqualificazione delle nostre periferie il driver principale della politica industriale del Paese.

* Segretario Generale FILLEA CGIL

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