Sarà il clima pre-elettorale in cui la Lega si prepara a piazzarsi dietro Fratelli d’Italia alle regionali lombarde di febbraio. Sarà che i soldi sono pochi e Meloni & co. devono trovare almeno una quota dei 21 miliardi stanziati a dicembre per sterilizzare le bollette a partire dalla prossima primavera. Sta di fatto che il ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti ieri si è esibito al teatro Manzoni di Milano nell’arte in cui sembra eccellere l’esecutivo nei suoi primi cento giorni: gli annunci. «Non voglio dire cose che poi non si verificheranno – ha vaticinato – ma contiamo che da inizio febbraio» i costi del gas possano scendere di circa il 40%, anche in bolletta. «Dal primo aprile le bollette dovrebbero diminuire».

La previsione di Giorgetti è basata su questi dati: il prezzo del gas è sceso a 66,182 euro per megawattora. La media di gennaio è stata di 68,802 euro/Mwh, il 40% in meno rispetto a quella di dicembre. Una percentuale che ai primi di febbraio, in base al nuovo meccanismo di calcolo, potrebbe spingere l’Autorità per l’energia (Arera) a ridurre le tariffe del metano nel mercato tutelato di un 30-35%. È una sensibile riduzione dopo che a novembre e a dicembre sono stati registrati aumenti causati dalla risalita dei prezzi con i primi freddi in un inverno mite in Italia, e non solo.

Giorgetti ha prospettato un curioso, e tutto da scoprire, meccanismo per «premiare i virtuosi e chi risparmia nei consumi». Lo ha definito «prezzo politico». Il costo della bolletta del gas per le famiglie sarà diviso in due. Il 75-80% del consumo, sarà calmierata dallo Stato, il 25-30%, quello in eccedenza rispetto all’anno scorso o agli ultimi anni, si pagherà a prezzo di mercato. In realtà è la classica teoria mainstream di matrice comportamentale: il «nudge», la «dolce spinta» attraverso la quale i governi e i mercati impongono ai governati, trattati da «consumatori», decisioni che altrimenti non potrebbero prendere democraticamente. Non c’è nulla di nuovo. Lo ha già fatto Draghi, e chissà quanto altri prima di lui. È un altro modo per fare pagare a lavoratori e consumatori il funzionamento a dir poco imperfetto delle meccaniche celesti dei mercati. Così il governo punta a risparmiare sui fondi da stanziare in primavera.

Al governo Meloni questa congiuntura sembra un aiuto insperato. Visto che i prezzi delle materie prime energetiche stanno calando, il rallentamento dei costi scaricati nelle bollette dovrebbe comportare un calo dell’inflazione sotto il 10%. Tutto risolto allora? Per nulla. L’Europa, e l’Italia che sta messa peggio quanto a inflazione, pagano l’energia un multiplo degli Stati Uniti e della Cina. L’economia di guerra le stanno azzoppando. La quotazione del gas è ancora superiore del 250% rispetto a gennaio 2021. Inoltre per riportare l’inflazione sotto il 2%, ci vorranno almeno due anni, è la previsione della Banca Centrale Europea che manterrà alti i tassi di interesse, almeno per i prossimi mesi. Questo significa che il caro prezzi sarà strutturale e non sono esclusi colpi di coda. Altri picchi potrebbero essere raggiunti a causa dei rovesci della guerra in Ucraina e degli andamenti dei mercati energetici di gas e del petrolio (Ttf di Amsterdam, Brent a Londra). Il governo non potrà fare extra-deficit perché l’austerità è tornata. Senza contare che l’andamento dei salari resterà stagnante, perlomeno in Italia dove sono cresciuti meno in Europa da trent’anni a questa parte.

In questo contesto le risorse vagheggiate ieri al Manzoni dal ministro «dell’Istruzione e del merito» Giuseppe Valditara per aumentare gli stipendi del personale scolastico saranno di difficile reperimento, sempre che non siano briciole, come di solito avviene. Dalle gabbie salariali al rifinanziamento del contratto nazionale in tre giorni. Per Valditara, e forse non solo per lui, potrebbero anche andare insieme.