È emergenza prezzi per chi vive in affitto. Soprattutto nelle principali città. Con i salari al palo e l’aumento del costo del denaro, che fa crescere la spesa per i mutui e quindi allontana la possibilità di poter comprare, la situazione si sta facendo sempre più difficile. Per le famiglie, ma anche per i singoli. Come dimostrano le recenti proteste a Milano e Firenze, dove alcuni studenti e un rider si sono messi a dormire in tenda per denunciare pubblicamente il problema abitativo.

Basta considerare un dato: in Italia a marzo 2015 il costo medio per metro quadro delle abitazioni affittate era di 9,10 euro, ad aprile 2023 ha raggiunto quota 12,20 euro (tutti i dati sono di immobiliare.it e si riferiscono alle offerte di affitto, quelli ufficiali dell’agenzia delle entrate sui contratti stipulati si fermano a due anni fa). In pratica in otto anni la crescita è stata del 34%. Andando a colpire pesantemente i bilanci degli 11,8 milioni di individui che, secondo il rapporto Istat 2021, vivono in affitto. All’incirca il 20% della popolazione, spesso la parte che soffre maggiori difficoltà economiche.

Se gli affitti sono cresciuti ininterrottamente per quasi un decennio, non è avvenuto altrettanto per i prezzi di vendita: in termini medi sono scesi dai 2.268 euro a metro quadro di gennaio 2015 ai 1.879 di dicembre 2019. Solo in quel momento hanno ricominciato a crescere, fino ai 1.971 del mese scorso.

I dati medi, comunque, dicono poco rispetto alla situazione drammatica che si vive nelle principali città. La più cara resta senza ombra di dubbio Milano. Qui il prezzo medio di affitto è 21,73 euro a metro quadro, quello di vendita 5.213. Nella città del Duomo ben sei quartieri superano i 7mila euro al metro quadro nei casi di passaggio di proprietà (a Roma avviene solo al centro storico). Cifre molto più alte di quelle complessive della Lombardia, dove si attestano rispettivamente su 15,7 e 2.251 euro.

Costi fuori controllo anche nelle altre principali città. Considerando affitto e vendita per metro quadro sono: 18,86 e 4.101 a Firenze (in Toscana 14,08 e 2.522); 17,46 e 3.327 a Bologna (in Emilia-Romagna 12,91 e 1.911); 14,75 e 3.313 nella capitale (minore la differenza con la regione di appartenenza: 13,59 e 2.453). Prezzi più bassi al sud, dove però anche i redditi sono generalmente inferiori: a Napoli 12,82/2.733, Bari 10,38/1.895 e Palermo 8,09/1.355.

«Turistificazione delle città e conseguente virata dei proprietari verso gli affitti brevi, calo generale delle offerte di locazione e mancanza di studentati pubblici sono i tre fattori principali che concorrono alla corsa dei prezzi degli affitti», afferma Massimo Pasquini, segretario nazionale dell’Unione Inquilini (Ui). Tre problemi collegati che hanno una causa comune: «credere che il mercato corregga il mercato. Non funziona, è sbagliato. Serve un rinnovato intervento pubblico», afferma Pasquini. Per il segretario Ui è necessario innanzitutto regolare gli affitti turistici, come sta già avvenendo negli altri paesi, e tassare questo tipo di rendite (oggi godono di una sorta di flat tax al 21% anche in caso di grandi affittuari).

Poi è necessario affrontare il tema degli immobili vuoti che, se utilizzati, farebbero aumentare l’offerta e potrebbero essere trasformati in studentati pubblici. Secondo Pasquini occorre spingere i proprietari a utilizzarli in qualsiasi modo, «abitativo, sociale, culturale», oppure, se questo non avviene, acquisirli nel patrimonio pubblico. Del resto lo dice anche l’art. 42 della Costituzione: la proprietà privata è riconosciuta e garantita ma ha anche una funzione sociale. O almeno dovrebbe averla, considerando che gli immobili chiusi rappresentano sia un costo per la collettività che l’occasione mancata di risolvere i problemi abitativi di migliaia e migliaia di persone. Eppure restano lì, senza alcuna iniziativa pubblica per metterli al servizio della popolazione.