Mi è capitato di discutere, in presenza o da remoto, con varie donne giovani che hanno deciso di sostenere Meloni perché sarebbe la prima donna a rivestire il ruolo di primo ministro in Italia e penso di averne capito le ragioni, che comprendo ma che voglio discutere con loro.

Comprendo che sia una giusta reazione a un’anomalia italiana al blocco di carriere verticali per le donne, e che esprima una rabbia che viene dal profondo: una di quelle rabbie che non ammettono mediazioni: si è stanche, stanche da secoli passati ad attendere, intercedere, mediare, chiedere. Le giovani donne hanno giustamente desiderio di camminare in fretta, secondo il loro passo, tutto il resto odora di stantìo, di moderazione, a cui le donne sono state costrette; sono stanche di chiedere permesso, di dover tener conto del contesto, della storia, del bilanciamento con i progressi del passato.
Sono istruite, valenti, tenaci. Vogliono qui e ora quello che gli spetta.

Quella figura che si presenta sulla scena politica come vincente le attrae. E vincere è una parola cancellata nel lessico di sinistra e pure l’audacia è scomparsa dai programmi politici progressisti, perché il progresso – parola ambigua – è comunque cauto e lento. Allora prima di tutto volevo dirvi, care giovani donne, che rispetto e capisco la vostra rabbia, quel voler proclamare “basta”, capisco che non c’è voglia di aspettare e non c’è fiducia. E che dovremmo raccogliere la vostra impazienza.

Tuttavia vorrei farvi osservare che chi pare rivestire la novità, rompendo con la moderazione femminile, ne ha solo le sembianti, piuttosto interessanti, ne convengo, ma ha un codice che guarda al passato.
Penso alle tante giovani che, come moltissime tra voi, appartengono all’esercito delle partite Iva che hanno deciso per ora o per sempre di non volere figli. Non c’è tempo. Spesso affannate da più lavori precari non c’è neppure il tempo di godersi davvero la vita, figuriamoci di avere figli da badare in una società che scarica la scelta alle madri, che scarseggia di asili nido e di scuole materne, comunque costose. Se vivi, come tante di voi, in una città diversa da quella di nascita, non avete nonni e non vi potete permettere una babysitter per molte ora. Il desiderio si spegne già prima di apparire. E in fondo non fa parte del destino di una donna fare figli per forza, anche se ce l’hanno inculcato.

Ma quella donna che pare rivestire una rottura col panorama politico pensa che le donne debbano fare figli e starsene a casa; guarda al leader ungherese che accusa le donne di egoismo, di preferire la carriera, di essere le colpevoli della bassa natalità. Bambini ne arrivano da ogni parte del mondo ormai, ma per lei come per quelli della sua fazione, sono le italiane che devono farli per combattere (giusta la parola visto i mantra di patria famiglia religione) il sorpasso “etnico”.

E se vi capita di rimanere incinte e non volerlo, come succede ed è successo, non andate da Meloni e dai suoi: in Ungheria, che lei apprezza tanto, obbligano le giovani che scelgono di abortire ad ascoltare i battiti del cuore del feto e faranno di tutto per impedirvelo.

Molte di voi, e le comprendo benissimo, non vogliono “far famiglia” bensì vivere altrimenti ma è bene ricordarsi che nel mondo di Giorgia diritti e servizi da erogare da parte dello stato sono rivolti non a singoli individui, non a soggettività di ogni genere ma a nuclei familiari che corrispondono alla visione (astorica) di una famiglia “naturale”. Tradotto in linguaggio corrente: soldi, aiuti, contributi vanno solo verso quel fantasma familiare con i suoi ruoli sessuali e sociali ben delineati.

Finisco svelando il mio desiderio per quanto riguarda la politica istituzionale: più che la “prima” donna, vorrei che ci fosse oltre la prima la seconda, la terza, la quarta, la quinta sulla scena politica, una leardership meno da “uno”, meno concentrata e più diluita, che contagia e non assorbe su di sé, che crea genealogia e non verticalità.
Less is better than more. Giovani donne, non cadete nella trappola di una novità apparente.