Carceri, Cie e hotspot distanti dalla legalità
Giustizia Prima relazione al Parlamento del Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma: «Bene il ddl sull’identificazione dei poliziotti»
Giustizia Prima relazione al Parlamento del Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma: «Bene il ddl sull’identificazione dei poliziotti»
Diecimila detenuti in più rispetto ai posti realmente disponibili nelle carceri italiane, con punte in taluni istituti del 300% rispetto alla capienza; 12 suicidi e 205 tentati suicidi dall’inizio dell’anno, soprattutto connessi al disagio mentale; un sistema di detenzione «pensata al maschile» nel quale le donne «rischiano di diventare invisibili e insignificanti»; violazioni dei diritti dei transessuali; misure alternative ancora insufficienti, mancanza di un reato specifico di tortura.
E ancora: 8577 persone ancora recluse in regime di «alta sicurezza», 729 in sezioni speciali ex articolo 41 bis e tra di loro alcuni ristretti in «aree riservate che costituiscono una realtà speciale all’interno del regime speciale» e che «espongono l’Italia a possibili censure da parte degli organi internazionali di controllo»; 571 persone in trattamento psichiatrico detenute nelle 30 Rems istituite alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari ma che da essi non si sono mai realmente distinte, almeno «come logica sottostante», essendo tuttora «luoghi di ricovero di persone con caratteristiche molto dissimili» e che avrebbero bisogno invece di differenti supporti e prese in carico.
MA NON C’È SOLO IL CARCERE, nella prima Relazione al Parlamento presentata ieri alla Camera dal Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà. In questo anno di vita o poco più, l’azione dell’organismo, istituito dopo la sentenza Torreggiani con la quale nel 2013 la Cedu di Strasburgo ha condannato l’Italia per il sovraffollamento penitenziario, è definita in quattro grandi aree del controllo diffuso: penale, sicurezza, migrazioni e sanitaria. Per ciascuna di esse Mauro Palma, presidente del collegio dei Garanti (Daniela de Robert e Emilia Rossi, le componenti), ha messo in evidenza luci ed ombre e formulato precise raccomandazioni, con un discorso che si è meritato la standing ovation della Sala della Regina (il pdf della relazione qui).
Davanti a gran parte delle istituzioni e delle associazioni che si occupano del sistema di controllo italiano è intervenuta anche Laura Boldrini: «La percezione di sicurezza – afferma la presidente della Camera – aumenta non con l’espulsione ma con l’inclusione, la solidarietà, la protezione sociale, la pulizia delle strade, le luci, il decoro, le iniziative culturali».
Mentre, dopo i messaggi del Presidente Mattarella e del Guardasigilli Orlando, il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore ribadisce e giura la «ferma volontà del nostro governo di introdurre il reato di tortura» (affossato in realtà dalla maggioranza al Senato perfino nella versione peggiorata rispetto a quella licenziata dalla Camera nell’aprile 2015, nda).
NEL FRATTEMPO, in questo ultimo anno, il Garante nazionale ha visitato «tutti i Cie attualmente operanti», «tutti gli hotspot fissi», le strutture miste, e ha monitorato sei dei voli charter partiti da Fiumicino con i quali sono stati rimpatriate forzatamente 177 persone. E «in questi giorni – avverte Mauro Palma – guardo con attenzione a quale potrà essere la fisionomia dei nuovi Centri per il rimpatrio previsti dal decreto in corso di conversione: certamente quelli esistenti, con la loro somiglianza al carcere, e a un carcere particolarmente chiuso e opaco agli sguardi esterni, non corrispondono al modello che ci attendiamo sarà adottato per le nuove strutture».
Nei Cie attuali «la capienza effettiva al gennaio di quest’anno era di 359 posti; nei primi nove mesi del 2016 vi sono transitate 1968 persone e solo il 44% di queste è stato rimpatriato». Nello stesso periodo, «delle 3737 persone che sono state rimpatriate, solo uno su quattro proveniva da un Cie. Molti rimpatri sono stati eseguiti, infatti, direttamente dagli hotspot sotto forma di respingimenti differiti». E nel decreto legge citato, sottolinea il Garante, «la natura giuridica degli hotspot rimane poco chiara».
Inoltre, nello Standard Operating Procedures redatto dal Ministero dell’Interno con il contributo della Commissione Europea, «il tempo di permanenza massimo rimane indeterminato e rimesso allo svolgersi della procedura di foto-segnalamento e di rilevamento delle impronte». Negli hotspot peraltro si trovano spesso minori non accompagnati (che nel 2016 erano il 14% degli arrivi, il doppio del 2015) che non trovano posto nei Centri di accoglienza: «Una situazione comprensibile, ma non accettabile» per Palma.
AL NETTO DI ALCUNE POSITIVITÀ, come per esempio la scelta di non imporre il fotosegnalamento, o la notifica preventiva dei voli di rimpatrio in modo da consentirne al Garante nazionale il monitoraggio (modalità che Mauro Palma estenderebbe volentieri ai Trattamenti sanitari obbligatori), resta il mancato controllo su ciò che avviene dopo la consegna delle persone rimpatriate: «Vanno rafforzate le garanzie negli accordi con Paesi terzi» e introdotti meccanismi di ricorso contro le modalità di trattenimento. Per questo, ha spiegato Palma, il Garante intende rafforzare la rete di comunicazione e cooperazione con gli omologhi organismi – laddove esistano – dei Paesi che ricevono i cittadini espulsi dall’Italia.
Ma si può essere privati della libertà anche solo per poche ore, per un fermo, per un controllo da parte delle forze di polizia. E siccome, evidenzia il Garante, c’è un’«assolta carenza di camere di sicurezza», essendo agibili appena poco più della metà di quelle ufficialmente censite (fino all’estremo di regioni come «la Basilicata senza alcuna camera di sicurezza della Polizia e la Calabria con solo 5 camere agibili»), si assiste al «ritorno del fenomeno cosiddetto delle porte girevoli, cioè di persone tradotte in carcere per una notte». Se è necessario perciò ripristinarle secondo gli standard internazionali, accessibili e trasparenti, è pur necessario «rendere effettiva ogni indagine su presunti maltrattamenti», a tutela dei fermati e degli operatori che agiscono nella legalità.
Per questo, Palma conclude annunciando di aver appreso «con soddisfazione» che i codici identificativi di reparto da apporre sulle divise degli agenti saranno «a breve» introdotti attraverso un ddl ad hoc. Almeno secondo le promesse del ministro dell’Interno Minniti.
Il bilancio del primo anno di attività
Il «Garante nazionale per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale» istituito all’inizio del 2014 è diventato operativo solo tra febbraio e marzo 2016 con la nomina alla nuova autorità di Mauro Palma (presidente) e di Emilia Rossi e Daniela de Robert da parte del Quirinale.
I componenti restano in carica per 5 anni e sono inamovibili e indipendenti.
Nonostante un solo anno di vita, l’istituzione ha svolto un lavoro importante.
80 le visite effettuate: 30 istituti di pena per adulti, 1 carcere militare, 3 istituti penali per minorenni, 2 Cpa, 14 strutture di diverse forze di polizia, 4 Cie, 4 hotspot, 2 centri di accoglienza per migranti, 2 comunità, 2 case famiglia. E ancora, 6 voli di rimpatrio (in Tunisia e Nigeria) e 2 sbarchi di migranti. I reclami esami- nati sono stati 108 e 126 le segnalazioni ricevute.
I poteri e i compiti dell’Autorità
Il garante Npl è un’istituzione pubblica, non governativa e indipendente. Il suo compito è controllare e monitorare tutti i (tanti) luoghi di privazione della libertà verificando il rispetto dei diritti umani fondamentali e della dignità della persona.
La sua connotazione è prevenire eventuali problemi e agire secondo un metodo collaborativo secondo il principio della «raccomandazione», cioè i rilievi mossi caso per caso alle istituzioni coinvolte. Collabora con i garanti regionali o locali ove nominati.
Può visitare liberamente tutti i luoghi di detenzione o privazione della libertà (carceri, Cie, camere di sicurezza, voli di rimpatrio, etc.) senza necessità di autorizzazione o annuncio.
Può avere colloqui riservati con i ristretti.
Può visionare i fascicoli e/o i documenti dei ristretti.
Libertà e salute, il problema dei Tso
La privazione della libertà può riguardare anche le strutture sanitarie, specie per quanto riguarda i «trattamenti sanitari obbligatori» o i ricoveri per anziani. «E’ un tema centrale che svilupperemo nel corso del 2018», ha avvertito Palma nella sua relazione. In effetti, sull’argomento non esistono nemmeno numeri precisi. Gli ultimi dati risalgono al 2015 e dicono di 10.882 pazienti dimessi da Tso. Un numero di persone significativo anche se parziale, perché riferito alle sole dimissioni.
Perciò – vista la rilevanza e la delicatezza della materia – il garante chiede al parlamento «una modifica normativa» con cui in parallelo alla notifica al giudice tutelare, i Tso vengano comunicati in automatico anche al garante, in modo da poter effettuare controlli a campione.
«Più attenzione ai minori stranieri»
«Secondo i dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, nel 2016 sono arrivati sul territorio italiano 25.846 minori stranieri non accompagnati, oltre 70 al giorno, quasi il 14% degli arrivi complessivi – ha riportato Mauro Palma – Un numero rilevante, visto che nel 2015 ne erano giunti 12.360, cioè il 7% dei complessivi arrivi.
In gran parte i minori provengono dall’Eritrea (3.714), dal Gambia (3119) e dalla Nigeria (2932). Ma è tra gli egiziani che la loro percentuale la più alta: il 58% degli arrivi. Nel novembre 2016, 17.245 minori non accompagnati erano presenti nei Centri: il doppio dell’anno precedente.
Da ciò, la saturazione delle strutture e il prolungamento della loro presenza negli hotspot, in attesa di individuare un posto in un Centro. Comprensibile, ma inaccettabile»
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