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Carcere, le norme fondamentali del decreto congelato

Colpo di scena nella storia della tentata riforma carceraria. Al Consiglio dei ministri dello scorso giovedì ci si aspettava che si discutesse dell’unico decreto che aveva già ricevuto i pareri […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 febbraio 2018

Colpo di scena nella storia della tentata riforma carceraria. Al Consiglio dei ministri dello scorso giovedì ci si aspettava che si discutesse dell’unico decreto che aveva già ricevuto i pareri delle Commissioni competenti di Camera e Senato, per il quale i tempi di approvazione potevano essere vicinissimi anche nel caso – auspicabile – che il Governo non avesse voluto recepire del tutto tali pareri. Invece quel decreto non si è visto.

Ne sono comparsi però altri tre, relativi a un numero inferiore di punti di delega, che a pochi giorni dal voto hanno appena cominciato il loro iter.

Cosa ci perderemo se il primo decreto non vedrà una coraggiosa accelerazione? Uno dei contenuti di maggior rilievo riguarda l’allargamento dell’accesso alle misure alternative, non solo attraverso l’innalzamento del limite di pena per poter accedere all’affidamento in prova al servizio sociale ma anche attraverso la riforma dell’articolo 4 bis della legge penitenziaria, quello che preclude l’accesso ai benefici sulla base del titolo di reato. Pensato per combattere fenomeni di criminalità organizzata, i quali necessitano di strumenti peculiari di contrasto, è stato nel tempo svuotato del suo significato con l’allargamento a reati di carattere individuale. Il decreto tenta di ripristinarne l’originaria intenzione. Ciò sempre che il Governo decida di non accettare le modifiche proposte dalla Commissione Giustizia del Senato, che svuoterebbero la riforma del 4 bis. È vero, sono dieci giorni in più di tempo (la procedura li richiede nel caso non ci si adegui in toto ai pareri parlamentari), ma in questa circostanza vale senz’altro la pena di prevederli. Motivo in più per sbrigarsi.

Altra norma fondamentale del decreto è quella che equipara la malattia psichica a quella fisica nel prevedere un meccanismo di sospensione della pena e di incompatibilità con il carcere anche per la prima. Inoltre, una persona cui un disagio psichico è sopravvenuto durante la detenzione (non raro, date le condizioni) avrebbe accesso ai servizi psichiatrici territoriali, piuttosto che essere internato in una struttura detentiva. Da segnalare anche come il medico smetterebbe di far parte del consiglio di disciplina, evitando così di precludere un rapporto di confidenzialità e fiducia con il paziente.

Non meno importanti sono alcune dichiarazioni di principio contenute nel decreto, quali il richiamo alla dignità della persona detenuta o la citazione esplicita delle regole penitenziarie del Consiglio d’Europa nel sottolineare come i detenuti debbano trascorrere la maggior parte della giornata al di fuori delle aree di pernottamento. Questo e altro perderemo se non si avrà il coraggio di approvare il decreto.

Non è chiaro invece cosa guadagneremo se incredibilmente anche i tre decreti esaminati ieri vedranno la luce. I testi non sono ancora pubblici. Ben vengano le norme specifiche per le carceri minorili, che speriamo improntate a quel modello a vocazione esclusivamente educativa che uscì dal tavolo 5 degli Stati Generali. Nel comunicato del Governo c’è uno strano richiamo al 41 bis: ci auspichiamo che non si vogliano prevedere sezioni di carcere duro negli istituti per minori e giovani adulti.

Ben venga anche un potenziamento del lavoro, senza mai però sconfinare in ipotesi di lavoro gratuito che rischiano di essere volontarie solo nella forma e che possono costituire una pericolosa concorrenza nel mondo del lavoro libero.

Rispetto invece alla giustizia riparativa, che si mantenga sempre netto quel confine per cui la vittima non può mai costituire un attore dell’esecuzione penale.

*coordinatrice nazionale Antigone

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