Canta «O sole mio», Renzi straripa, la piazza no
La manifestazione del Sì a Roma «Basta divisioni» urla dal palco ma poi chiama i fischi per D’Alema e attacca Bersani. «Il partito della nazione? Quello da Grillo a Silvio». Cuperlo alla fine arriva in piazza: rispetto per chi c'è e per chi non c'è
La manifestazione del Sì a Roma «Basta divisioni» urla dal palco ma poi chiama i fischi per D’Alema e attacca Bersani. «Il partito della nazione? Quello da Grillo a Silvio». Cuperlo alla fine arriva in piazza: rispetto per chi c'è e per chi non c'è
È un Renzi straripante, alle cinque meno cinque del pomeriggio, quando la luce più bella batte radente sulla grande bellezza del Pincio, quello entra sul palco di una piazza del Popolo mezza piena o mezza vuota, sulle note trionfali di «O Sole mio». Canta, si muove come una rockstar, porta la mano all’orecchio per chiedere militanti di di farsi sentire. C’è autoironia, forse, ma forse ci ha creduto troppo dopo la copertina che gli ha dedicato Rolling Stone, The young pop. C’è tutto Renzi in questa scena, impensabile per uno qualunque dei suoi predecessori, forse lo ha stuzzicato l’antico maestro Ciriaco De Mita che la sera prima in tv lo aveva rimproverato di considerarsi «la luce». Era un consiglio di prudenza e invece il giovane presidente lo ha rivoltato in uno sberleffo: canta Caruso da spericolato col sole in fronte, del resto questo sabato è davvero una meravigliosa jurnata ’e sole. Sa che chiamare «il popolo» in piazza a sostenere il governo fa un po’ Sudamerica: «Questa è piazza del Popolo, non del populismo». Epperò la regia prevede il leader e il suo popolo, che peraltro scarseggia. Nessun altro protagonista: gli onorevoli, neanche tutti, circolano nel backstage e tentano giusto un capolino finale dal palco.
È il giorno del Pd Pride, c’è il colpo d’occhio delle bandiere, del resto sono distribuite a pacchi da sotto il palco, ma oltre l’Obelisco Flaminio restano praterie vuote, nonostante i gazebo sapientemente distribuiti – vecchia scuola, anche il palco occupa quasi mezza piazza – e infatti gli organizzatori evitano i numeri, «forse trentamila», forse meno, meglio la metà. Ma certo quelli che si sono spinti fin qui sono gli entusiasti del leader. Che li ricambia battezzandoli «l’Italia del Sì», quella che Obama «ha voluto alla Casa Bianca», e bastonando quella del No, «il vero partito della nazione»,«quello che va da Brunetta a Travaglio, Monti e Salvini, che tiene insieme Gasparri e De Mita, che da Berlusconi a Grillo a D’Alema, è il partito che vuole bloccare l’Italia», «Voglio dire a quelli di prima: il fatto che voi abbiate fallito, non vi autorizza a far fallire anche noi».
Renzi attacca il M5S «se parli di onestà e non risolvi i problemi della tua città non sei credibile». Ma soprattutto prova a rassicurare i suoi ’democratici di sinistra’, sa che è il fianco da cui si sta svenando il Pd. Qui oggi non dice che «il referendum si vince a destra». Non a caso prima di lui gli unici politici che parlano sono la meravigliosa Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, e Beppe Sala, che ha vintoa Milano con una coalizione di centrosinistra benché light. Anche la musica è scelta con gusto da vecchia quercia, altro che le play list della Leopolda, stavolta è The best of Feste dell’Unità: un sano miniconcerto della Nuova compagnia di canto popolare, una meticcissima Orchestra di Piazza Vittorio, ci scappa anche un Bella ciao e un canto delle donne socialiste. E il finale, quando il leader scenderà in mezzo alla folla, sarà sulle note di Patti Smith, People have the power, grande classico de sinistra. Ma sia chiaro di che sinistra si parla: quando Renzi nomina D’Alema fa una sapiente pausa che tira i fischi, che infatti arrivano. «Basta divisioni e litigi interni, basta guardare il nostro ombelico», urla all’indirizzo dei suoi, «sull’Italicum non abbiamo aperto, abbiamo spalancato» ma poi picchia duro sull’assente Bersani. Gianni Cuperlo invece alla fine è arrivato in piazza, bello e non allegro si fa i selfie con la ministra Maria Elena Boschi, i militanti lo accolgono con affetto. Quanto all’ex segretario, che fa campagna per il No, con un breve giro di parole Renzi lo paragona al socialista americano Bernie Sanders che «ha perso le primarie ma adesso resta a fianco della sua compagna» intendendo – non è immediato – Hillary Clinton. Non c’è niente da fare, è nella sua natura, ha la fissa dei ’rossi’ neanche fosse Berlusconi, la sinistra del No è il suo vero avversario: quella che invece, dice, dovrebbe aiutarlo contro gli attacchi del premier xenofobo ungherese Orban.
Quella sinistra potrebbe trovarsela accanto per esempio se in Europa fosse combact com’è qui in piazza, a parole: «Oggi diciamo che siccome nel 2017 arriva a scadenza il tema del fiscal compact noi non accetteremo mai di inserirlo nei Trattati, se ne facciano una ragione». Impegno importante, evviva. Ma si vedrà dopo il voto referendario del 4 dicembre se manterrà quest’opinione.
Fra una legnata e l’altra, Renzi prova a fare il bravo boy scout che non riesce ad essere davvero. «Ecco la mia proposta», dice, e i cronisti fin qui scarsi di notizia tendono l’orecchio. «Vi propongo cinque serate, una pizza con i condomini, i colleghi e gli proponete il quesito. Noi vogliamo convincere quante più persone ma in questo tempo di odio, di violenza e intolleranza, di insulti per chi vota Sì, facciamo vedere che il Pd costruisce una comunità in Italia, non accetta che diventiamo codici fiscali. Non fate politica nei circoli, chiusi a chiave dentro gli equilibri interni ma spalancate le finestre al mondo fuori. Basta litigi, discussioni riprendiamoci il paese». Bizzarro modo di invitare a una pizza quelli che hai appena indicato come il nemico di oggi e di sempre, «quelli che bloccano il paese».
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