In un mare di seggi azzurri, i sondaggi danno le aree urbane contendibili. Napoli e la Campania sono diventate terreno di scontro dei big di tutti gli schieramenti: Conte, Di Maio, Carfagna, Tajani, Renzi, Franceschini, Camusso, Speranza in corsa all’ombra del Vesuvio e tutti proiettati sul rush finale per strappare voti a FdI soprattutto adesso che il Sud sembra poco attratto dalla propaganda anti reddito di cittadinanza, dalle mire della Lega sui fondi Ue e dai proclami sull’autonomia differenziata.

LETTA È ARRIVATO LUNEDÌ per una due giorni in cui è stato, nell’ordine, a Napoli, Pompei, Salerno, tre appuntamenti a Caserta e gran finale a Portici. Perché proprio Portici? Perché il sindaco dem Enzo Cuomo, al quarto mandato, è stato rieletto con l’84% dei voti, all’iniziativa anche Giorgio Zinno sindaco dem di San Giorgio a Cremano al secondo mandato (nel 2020 ha ottenuto il 65,8%). Tutti a tirare la volata a Marco Sarracino, uno degli under 35 voluti da Letta, candidato nel collegio delle due città alle porte di Napoli.

A PORTICI Letta ha fatto il segretario Pd di sinistra: all’incontro hanno partecipato Pierluigi Bersani e il ministro Roberto Speranza. Speranza, in particolare, corre a Napoli ma alla Stazione Marittima partenopea lunedì sera non c’era, quella era la serata del Pd sponda governatore De Luca, quello che ha una ricetta infallibile per battere la destra: arruolarla nelle liste civiche. «Noi siamo quelli che si battono contro le diseguaglianze – l’attacco di Speranza – contro la precarietà e l’idea che si possa essere lavoratore e povero, una contraddizione inaccettabile. Noi siamo quelli che si battono per la difesa del Servizio sanitario nazionale».

A BERSANI la sintesi del quadro politico: «La campagna elettorale è partita bassa con l’idea che la destra fosse in vantaggio ma non c’è un’ondata di destra. Hanno giocato un paio di carte tipo ammucchiarsi tutti con questa legge elettorale, tipo far passare l’idea che Meloni è donna, è stata tre anni all’opposizione, ‘provati tutti proviamo anche lei’. Prova pure ma stai attento a dove metti la croce perché la croce devi portarla te».

LA DESTRA, spiega Bersani, è un pericolo per il Sud: «C’è un rischio che vengano fatte misure tipo l’aliquota unica dell’Irpef, le autonomie differenziate e così via che sono una catastrofe per le zone con redditi e capacità fiscale bassa. Abbiamo davanti una destra che non a chiacchiere ma con atti parlamentari è contro la socialità, secondo cui la precarietà non è mai abbastanza, dice no al salario minimo, via il reddito di cittadinanza, no a ius scholae, ius soli, legge Zan e fine vita, no a tutti gli avanzamenti civili e sociali».

E INFINE: «Gli italiani non potranno mai consentire che una che giura sulla Costituzione antifascista e non riconosce il 25 Aprile possa mettere mano anche di una virgola alla Costituzione antifascista. Questa lista che sosteniamo si regge sul Pd ma mette assieme Art 1, i socialisti, i cattolici di Demos. Si poteva fare di più? Forse ma quello che stiamo facendo è una premessa e una promessa di un percorso nuovo per una sinistra di governo». Bersani non dice che hanno rischiato di avere accanto il Terzo polo, quasi indistinguibile dal centrodestra, e se non è successo è perché Calenda ha deciso di mollare Letta.

COME INIZIA IL PERCORSO nuovo lo spiega Sarracino: «Cinque anni fa elogiavano la flessibilità del lavoro, oggi facciamo l’opposto. Cos’è successo? 860 milioni di poveri con meno di 2 dollari al giorno e un ristretto gruppo di milionari. Diseguaglianze inaccettabili dal punto di vista etico». Lo stesso Letta l’aveva dichiarato dagli scavi di Pompei: «Gli ultimi giorni di campagna elettorale sono tutti sul tema del lavoro». Accanto a lui, a Pompei, Franceschini: «Una storia di riscatto, da crolli e scioperi a modello di gestione e di utilizzo di fondi europei, 105 milioni spesi tutti».

FRANCESCHINI è stato ministro della Cultura per otto anni, Letta ne rivendica l’operato e insieme proclamano: «Sostenere le persone che non hanno lavoro col reddito di cittadinanza e dare, attraverso il salario minimo, garanzie a chi ha un posto di lavoro di prendere un salario giusto». Il salario giusto però nel settore della cultura è quasi sparito. L’associazione Mi Riconosci spiega: «La metà dei lavoratori in appalto, anche al Ministero, guadagna tra i 4 e gli 8 euro l’ora. Moltissimo siti, anche pubblici, danno i servizi a coop e privati che fanno il contratto Multiservizi, destinato teoricamente a chi fa guardiania. Circa il 50% delle persone che abbiamo intervistato lavora con il contratto Multiservizi o con quello del Terziario. Chi non ha il contratto è costretto alla partita Iva o alla prestazione occasionale. Il risultato è che chi lavora nei Beni culturali è afflitto da paghe misere raggiungendo, al massimo, in un anno i 15mila euro, subisce straordinari non contrattuali (e spesso non pagati) e ha scarse tutele».