Entro il 2030 l’Italia dovrà ridurre le emissioni di gas serra di agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria del 43,7% rispetto al 2005. È il nuovo impegno previsto dall’accordo raggiunto nella notte tra l’8 e il 9 novembre tra Consiglio e il Parlamento Ue sul regolamento relativo alla condivisione degli sforzi tra Stati membri (Effort sharing regulation), che fa parte del pacchetto clima, il cosiddetto “Fit for 55”. Per l’Italia si tratta della richiesta di uno sforzo aggiuntivo: il target nazionale attuale è infatti del 33%. Il contributo più basso è della Bulgaria (10%), il più alto della Svezia (50%).

QUESTO È IL SECONDO ATTO legislativo del pacchetto ad essere concordato tra i co-legislatori. In attesa di un’adozione formale, l’accordo provvisorio approva un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra a livello dell’Ue del 40% rispetto al 2005, e riguarda tutti quei settori che non sono già coperti dal sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Eu-Ets). L’accordo mantiene gli obiettivi nazionali assegnati a ciascuno Stato membro come proposto dalla Commissione, adeguando il modo in cui gli Stati membri possono utilizzare le flessibilità esistenti per raggiungere i propri obiettivi.

Per tenere conto delle incertezze legate agli eventi imprevisti che hanno un impatto sulle emissioni, il Consiglio e il Parlamento – riassume una nota – hanno concordato un aggiornamento nel 2025 della traiettoria lineare delle emissioni fissata per ciascuno Stato membro, che potrebbe portare a un adeguamento al rialzo o al ribasso delle assegnazioni di emissioni annuali per il periodo dal 2026 al 2030. Esiste una sorta di meccanismo di compensazione, che consente agli Stati membri di «depositare e e prendere in prestito» le assegnazioni di emissioni.

QUESTO SIGNIFICA, ad esempio, che se in un anno le emissioni nazionali fossero inferiori alle loro assegnazioni di emissioni annuali, gli Stati membri possono depositare fino al 75% della loro assegnazione di emissioni annuali per quell’anno agli anni successivi fino al 2030. Per quanto riguarda gli anni dal 2022 al 2029, gli Stati membri potranno depositare fino al 25% delle loro assegnazioni di emissioni annuali fino a quell’anno e utilizzarle negli anni successivi fino al 2030. Parallelamente, negli anni in cui le emissioni sono superiori al limite annuo, gli Stati membri potranno prendere in prestito assegnazioni dall’anno successivo, fino al 7,5% delle loro assegnazioni di emissioni annue per quanto riguarda gli anni dal 2021 al 2025 e fino al 5% come per quanto riguarda il 2026 al 2030. L’accordo provvisorio consente inoltre di acquistare e vendere assegnazioni di emissioni tra Stati membri, fino al 10% delle loro assegnazioni di emissioni annuali per gli anni dal 2021 al 2025 e il 15% per gli anni dal 2026 al 2030. Gli Stati membri potranno utilizzare una quantità limitata di crediti generati dalle rimozioni di gas serra nel settore dell’uso del suolo, del cambiamento dell’uso del suolo e della silvicoltura (Lulucf) per rispettare i propri obiettivi.

AL NETTO DELLE MODALITÀ di attuazione, questo accordo sottolinea quanto detto nei giorni scorsi alla Cop27 dalla presidente della Commissione europea, von der Leyen: l’Europa intende assumere leadership nel percorso di decarbonizzazione. Suonano così stonate rispetto agli impegni italiani le parole dell’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, che nel corso di un’intervista all’Ansa, pur evidenziando che la sfida del cambiamento climatico «è la priorità», non ha mancato di sottolineare che «adesso abbiamo questo problema di sicurezza energetica, che è contingente», immaginando di poter velocemente far crescere la produzione di gas metano nel nostro Paese. Tutt’altra strada paiono indicare al nostro Paese Legambiente e Kyoto Club: «Se vogliamo raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni al 2030 e al 2050 e affrancarci dalla dipendenza energetica dobbiamo intervenire nel settore del riscaldamento, responsabile del 18% delle emissioni di CO2 in Italia», migliorando l’uso dell’energia a questo livello, potrebbe davvero «dare una mano all’Italia nella strada verso l’indipendenza dal gas», che non è solo il gas russo.

ALLA COP27, INTANTO, l’inviato speciale per il clima cinese, Xie Zhenhua, ha affermato che la Cina ha già contribuito con miliardi di yuan agli sforzi di mitigazione del cambiamento climatico nei Paesi vulnerabili e ha accennato anche alla cooperazione con gli Usa per il controllo delle emissioni, bruscamente interrotta da Pechino nel mese di agosto. La sospensione del dialogo è arrivata dopo la visita della presidente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, sull’isola di Taiwan, rivendicata dalla Cina come parte del suo territorio. Gli Stati Uniti, intanto, hanno lanciato alla Cop27 un partenariato pubblico-privato volto ad accelerare la transizione energetica dei paesi in via di sviluppo, un’iniziativa basata su un mercato dei crediti di carbonio. Gli attivisti del Sud del mondo hanno accolto la novità con scetticismo.