California prosciugata
Stati uniti Dopo anni di cultura dello spreco, campi da golf e risaie nel deserto, la stagione più secca dal 1850 manda in crisi lo stato-serra della produzione agricola, generando i più foschi presagi. E con l’acqua che scarseggia tira aria di decrescita obbligata. Così la paura della «megasiccità» rischia di far scoppiare la "bolla idrica" californiana
Stati uniti Dopo anni di cultura dello spreco, campi da golf e risaie nel deserto, la stagione più secca dal 1850 manda in crisi lo stato-serra della produzione agricola, generando i più foschi presagi. E con l’acqua che scarseggia tira aria di decrescita obbligata. Così la paura della «megasiccità» rischia di far scoppiare la "bolla idrica" californiana
Questa settimana le autorità californiane hanno annunciato una nuova mandata di misure per risparmiare acqua. Fra i provvedimenti: limiti all’innaffiamento dei giardini, divieto di lavare le auto con acqua potabile e l’invito agli alberghi a non lavare automaticamente ogni giorno gli asciugamani. Le nuove disposizioni anti-siccità (ampiamente criticate come insufficienti da scienziati e ambientalisti) giungono al termine di un ennesimo inverno che ha prodotto precipitazioni ben al di sotto della media.
Si dà il caso che la stagione appena conclusa sia stata la meno piovosa dal 1850, anno di fondazione dello stato, un quarto record negativo di seguito che sancisce ufficialmente lo stato di «siccità estrema». I bacini idrici sono a livelli minimi storici, in particolare nella California del Sud molti laghi artificiali che immagazzinano le scorte registrano livelli fino al 50% sotto il normale. Ancora più preoccupante però è l’entità dei nevai della Sierra Nevada che contengono fino a un terzo delle scorte d’acqua complessive: attualmente registrano livelli di appena il 12% rispetto alla norma. Il Colorado River che nasce nelle montagne rocciose del Wyoming e rifornisce d’acqua gran parte del West, comprese Las Vegas, Phoenix, Tucson, Los Angeles e San Diego, si estingue esausto, ormai a un centinaio di chilometri dalla sua foce originale, il mar di Cortez in Messico.
La parola che turba i californiani
La siccità non è certo una novità in questa regione geologicamente arida che in pochi decenni ha visto uno sviluppo demografico senza pari, ma l’attuale emergenza rischia di avere effetti più destabilizzanti. Gli esperti della Nasa avvertono che allo stato più popoloso d’America, con un’economia pari all’ottava potenza mondiale, potrebbero rimanere scorte per meno di un anno. La parola che turba sempre più i sonni dei californiani è megadrought – un evento climatico straordinario che potrebbe segnare in modo decisivo il destino dello stato.
Uno studio pubblicato il mese scorso dalla American Association for the Advancement of Science avverte che «nell’ovest e nelle pianure centrali del Nordamerica la siccità potrebbe intensificarsi nei prossimi decenni» fino a costituire un evento di portata «millenaria». Analizzando gli anelli degli alberi, gli studiosi della Nasa, in collaborazione con climatologi della Cornell e della Columbia university, ipotizzano «più del 50%» di probabilità che si replichi l’«anomalia climatica medievale», un periodo di eccezionale siccità durata nel sudovest per la maggior parte del 12mo e 13mo secolo – un evento cui si attribuisce in parte la scomparsa di paleoculture regionali come gli indiani Anasazi e Pueblo. Altri modelli ancora più preoccupanti ritengono invece che sia l’ultimo millennio ad essere stato «atipicamente umido» e che il futuro possa riservare una siccità sconosciuta a memoria d’uomo. Anche perché, dicono gli scienziati, il fenomeno sarebbe «amplificato dal riscaldamento atmosferico» in atto.
Un quadro inquietante per una regione in cui è un dato culturalmente interiorizzato il maggiore disastro ambientale a memoria, la siccità decennale che provocò catastrofiche tempeste di sabbia e la distruzione di milioni di ettari di terreni agricoli: il dustbowl che attanagliò i Great Plains per un decennio negli anni ’30. A quell’evento che portò in California centinaia di migliaia di profughi seguì la bonifica delle terre aride avviata all’inizio del secolo scorso con lo sfruttamento intensivo del Colorado. Il fiume, come il delta del Sacramento più a nord e le acque della Sierra, sono state cooptate in una mastodontica opera di ingegneria ambientale per lo sviluppo agricolo, urbano e demografico di quella che era la maggiore regione desertica dell’emisfero occidentale e nella quale vivono oggi 60 milioni di persone.
Il dato più impressionante è la rapidità di questo sviluppo: poco più di un secolo fa – la popolazione di questa vasta regione era irrisoria. Los Angeles contava meno di 100 mila abitanti, San Diego molti di meno, Las Vegas era uno scalo ferroviario senza una vera popolazione. In cento anni i paesi sono diventati metropoli con decine di milioni di abitanti e il maggior tasso di crescita del paese, motori di una delle economie regionali più dinamiche e diversificate al mondo. Lo strabiliante sviluppo che ha traghettato l’ovest da old west a new economy dipende interamente dalla capillare rete di supporto idrico istituita nel 1902 da Theodore Roosevelt col National Reclamation Act, il piano regolatore per la bonifica idrologica dell’Ovest.
I frutti di un’opera immane
L’immane opera che ha prosciugato laghi, dirottato fiumi e trasferito vaste quantità di acqua dal nord temperato all’arido sud ha dato i suoi frutti – e le sue verdure: un raccolto che costituisce il 60% della produzione di verdura del paese , 25% della frutta e delle noci. Per alcune varietà si parla praticamente di un monopolio; in California si raccolgono il 99% dei carciofi , il 95% del sedano, 94% dei broccoli, 90% della lattuga, 84% delle pesche, 88% delle fragole e l’89% dei cavolfiori consumati in America e l’agricoltura rimane il maggior comparto economico dello stato.
La trasformazione della California in una serra per la produzione agricola su scala industriale ha anche fatto dell’acqua una risorsa economicamente politicamente imprescindibile, un bene essenziale e prezioso commissariato, privatizzato e tenuto artificialmente abbondante e a buon mercato dalle forti sovvenzioni che hanno creato una sorta di “bolla idrica” che le condizioni climatiche rischiano ora di far scoppiare.
Dopo anni di giardini tropicali, campi da golf e risaie nel deserto e una generale cultura dello spreco che allinea la California al resto del paese come megaconsumatore d’acqua (oltre 420 litri pro capite al giorno) si profila ora una resa dei conti che si preannuncia dolorosa. Il razionamento ha già colpito duramente la Central Valley: lungo la interstate 5 che la percorre per 750km, si moltiplicano a un tasso allarmante i campi incolti tornati all’originale stato di sterpaglia bruna. Solo l’anno scorso sono stati abbandonati 160 mila ettari di terreno e quest’anno ne verranno lasciati incolti forse altri di 400 mila. Una situazione drammatica soprattutto per gli abitanti di una delle regioni dalla più impressionante povertà specie fra i lavoratori in maggioranza immigrati che ora fanno i conti con un tasso di disoccupazione del 14% – quasi il doppio di quello generale (da un paio di anni il flusso di persone che passano il confine per tornare in Messico eccede quello di immigrati diretti a nord); per loro i tempi di un nuovo Furore sono già iniziati. Nel tentativo di supplire al razionamento gli agricoltori da anni pompano pozzi sempre più profondi – la falde acquifere si sono abbassate in certi punti più di 50 metri nell’ultimo decennio con un corrispettivo avvallamento dei terreni, ma soprattutto i pozzi non sono una strategia sostenibile. Giovedì il governatore Jerry Brown ha chiesto uno stanziamento di 1 miliardo di dollari per far fronte all’emergenza.
Dissalatori e riciclaggio di liquami
Per valutare i possibili futuri sviluppi, scienziati dell’università di California hanno modellato i prevedibili effetti di una siccità della durata di 70 anni. Fra questi l’estinzione di specie come il salmone a causa della riduzione dei corsi d’acqua e la drastica diminuzione dei terreni coltivati. La siccità obbligherebbe inoltre le città a istituire razionamenti e aumentare sensibilmente le tariffe al consumo. Per far fronte al fabbisogno bisognerà ricorrere a conservazione (ad esempio col divieto di seminare prati), al riciclaggio di acque grigie e liquami (come già avviene in alcuni distretti come Orange County) e alla dissalazione su larga scala. La scorsa settimana Santa Barbara ha deciso di riattivare il proprio dissalatore mentre San Diego sta costruendo il più grande impianto nell’emisfero occidentale.
Le ripercussioni maggiori inevitabilmente si avranno sull’agricolutra che attualmente utilizza il 70% dell’acqua e gli effetti sulla produzione alimentare ricadrebbero ben al di la dei confini California sotto forma di sensibili aumenti dei prezzi del cibo. Anche se il paniere californiano non rimanesse del tutto a secco difficilmente si potrà continuare a utilizzare l’attuale modello industrialmente idro-intensivo e dopo un secolo di “conquista ambientale” e ipersviluppo per la prima volta si contempla una decrescita.
Il miracolo californiano potrebbe insomma trasformarsi in un esperimento obbligato in conversione sostenibile e un anticipo di ciò che potrebbe accadere in molte altre parti del mondo soprattutto visto che le stime Onu prevedono che entro il 2025 il 14% della popolazione mondiale farà fronte alla scarsità di acqua (a questo proposito l’Italia si attesta regolarmente ai vertici statistici dell’uso d’acqua in Europa e nel mondo).
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