Il colonnello della riserva Sharon Gat ci tiene al suo look da Rambo. «Senza la mia pistola mi sento nudo, sono a disagio quando viaggio all’estero perché non posso portarla con me», ci dice accogliendoci in uniforme commando. Dalle varie tasche emergono un paio di caricatori, fumogeni, un pugnale, un visore notturno. Al fianco destro c’è la pistola di cui non vorrebbe mai privarsi, anche in vacanza. «La porto con me anche quando vado a buttare la spazzatura. Perché? Il motivo è semplice: se in quel momento ci fosse un attacco terroristico non sarei in grado di reagire». Poi va prendere una pistola in una vetrina illuminata e ci mostra come si carica, si impugna e si punta contro il «terrorista» che non nomina mai ma è l’«arabo», cioè il palestinese. Intorno a noi entrano ed escono dalla sala soldati in uniforme e civili israeliani. Ci sono anche stranieri, parlano in inglese. Li riceve Yael, sorella del colonnello Gat, incaricata di spiegare ai «turisti» i vari livelli del corso di addestramento messo in piedi dal fratello. Il sottofondo sonoro ricorda quello di Call of duty ma non siamo in un videogame. Ci troviamo a pochi metri da un poligono di tiro. I colpi di pistola e fucile sono continui.

Sharon Gat (foto di Michele Giorgio)
Sharon Gat (foto di Michele Giorgio)

Questa è Caliber 3, Israeli Counter Terror and Security Academy, aperta da alcuni anni nei pressi di Gush Etzion, un blocco di insediamenti coloniali israeliani tra le città palestinesi di Betlemme ed Hebron, nella Cisgiordania occupata. Sharon e Yael Gat non si sbilanciano sul costo del corso di addestramento all’antiterrorismo. Ma è elevato. Anche per chi, come i «turisti» stranieri che arrivano qui, italiani inclusi, vuole solo sparare qualche colpo. «Non c’è una tariffa unica» dice Sharon Gat facendoci strada verso la stanza dove riceve i giornalisti. «Qui vengono nostri soldati a completare l’addestramento per l’ingresso nelle unità speciali dell’esercito, guardie del corpo locali e straniere, agenti di compagnie di sicurezza israeliane e internazionali. E poi tanti turisti. Vengono qui a Caliber 3 per conoscere Israele e come sappiamo affrontare i pericoli», aggiunge Gat risistemando il suo equipaggiamento.

Caliber 3 deve aver accumulato una fortuna nell’ultimo anno con la recrudescenza del conflitto con i palestinesi sotto occupazione e il sostegno del governo di estrema destra in carica all’acquisto di armi da parte dei civili.  «Ogni israeliano deve difendersi e saper difendere gli altri israeliani, in questo modo i cittadini diventano nelle strade una forza di sicurezza contro i terroristi in aggiunta a quelle dello Stato» afferma il colonnello Gat secondo il quale i tempi di reazione in Israele a un presunto attentato sono eccezionalmente rapidi «spesso di pochi secondi» a differenza, sostiene, degli Stati uniti o dell’Europa dove sarebbero «di parecchi minuti».

Questo grazie alla presenza sul posto di cittadini con la pistola in tasca. E in effetti non sono rare le uccisioni, da parte di civili armati, di palestinesi in apparenza intenzionati a realizzare attacchi. Che siano attentatori veri o presunti, nella quasi totalità dei casi sono uccisi sul posto e non bloccati e arrestati dalle forze di polizia o dall’esercito come probabilmente avverrebbe in un altro paese. Fatto sta che, come speravano da sempre quelli della Caliber 3, i civili ora richiedono in numero crescente il porto d’armi. E quelli che si rivolgono alla accademia per procurarsi una pistola si sono moltiplicati quest’anno, con un aumento di quasi il 100%.

«Gli ultimi mesi sono stati pazzeschi, Caliber 3 ha venduto 1.500 pistole al mese nelle sue cinque sedi (in Israele)» riferisce Gat. E comprare un’arma costa relativamente poco in Israele, più o meno tra 800 a 1.500 euro. Il colonnello ci tiene a precisare che in Israele le regole sono più rigide rispetto agli Stati uniti. Le armi possono essere acquistate, spiega, solo da chi ha più di 27 anni, vive in una «area di pericolo» e con un permesso rilasciato dalle autorità dopo una serie di controlli ed esami medici. I civili possono avere solo la pistola, inclusi i coloni in Cisgiordania, e, aggiunge Gat, quelli in abiti civili che se ne vanno in giro armati di mitra sono soldati o agenti di polizia non in servizio in quel momento ma autorizzati a portarsi un’arma automatica.

 

Poligono di tiro a Caliber 3 (foto di Michele Giorgio)
Poligono di tiro a Caliber 3 (foto di Michele Giorgio)

Il ministro della Sicurezza e leader dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir – prima di entrare nel governo, qualche mese fa, nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, tirò fuori la pistola di fronte alle proteste palestinesi con lanci di pietre – sta snellendo queste regole in modo da consentire ad altre decine di migliaia di civili israeliani di avere una pistola, oltre agli oltre 150mila (numero aggiornato allo scorso anno) che già la posseggono. Ad aprile Ben Gvir si è attivato affinché i soldati delle unità combattenti, i poliziotti e anche gli ex vigili del fuoco in pensione da non più di cinque anni abbiano l’accesso facilitato all’acquisto di un’arma. Il portale d’informazione Walla ha riferito nelle scorse settimane che da febbraio sono state approvate circa 12 mila licenze mentre la media annuale tra il 2016 e il 2021 è stata di 13 mila.

Cifre che sono una musica per quelli della Caliber 3. «Alcune unità specializzate dell’esercito hanno già un addestramento adeguato a maneggiare le armi e a nostro avviso dovrebbero ricevere permessi immediati», sostiene Sharon Gat non nascondendo la sua amarezza per le lungaggini più politiche e non solo burocratiche che, a suo avviso, ancora impediscono di comprarsi una pistola con più facilità. Gat preso dalla «lotta al terrorismo», nella sua esaltazione dalla società israeliana militarizzata e armata, non fa riferimento al problema dei femminicidi che non pochi vedono legato anche alle tante armi in circolazione. Le statistiche dicono che tra il 2019 e il 2021, nove delle 32 donne uccise colpi di pistola sono state ammazzate da persone con il porto d’armi. Peraltro, non è noto quante persone abbiano le licenze scadute ma detengano ancora le loro armi.

«Ora ti faccio assistere a un esempio del nostro modo di combattere e colpire i terroristi» taglia corto il colonnello Gat prima di lanciarsi, con un collega, lungo un percorso fatto di muri da superare, ostacoli da aggirare e sagome di «terroristi» da centrare e abbattere. «Qui in Israele abbiamo l’esercito e le forze di sicurezza più morali del mondo, colpiamo solo i terroristi non le persone innocenti, ricordati di scrivere queste parole» ci dice accompagnandoci all’uscita. A poche centinaia di metri da Caliber 3, nel vicino villaggio palestinese, sotto occupazione militare, non sono d’accordo con lui.

Il video di Michele Giorgio girato a Caliber 3