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Calenda show contro gli avversari: «Voglio arrivare al 20%»

Calenda show contro gli avversari: «Voglio arrivare al 20%»Carlo Calenda e Matteo Renzi alla kermesse di Milano – Ansa

La strana coppia A Milano con i big del terzo polo. Battute al veleno contro Salvini, Di Maio e Letta: «Enrico, basta gridare ai fascisti». Renzi: «Noi alternativi alla destre e alla sinistra dei niet»

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 3 settembre 2022

Se dovesse fallire l’avventura del terzo polo, entrambi i leader hanno già un futuro assicurato: Renzi in Arabia Saudita, Calenda nel cabaret. Ieri, nell’intervento conclusivo alla kermesse milanese, ha satireggiato su tutti gli avversari, da Di Maio a Meloni a Salvini definito «valletto di Orban». E ancora: «Sei amico di Putin, se vuoi querelami!». A Meloni: «Sei madre e cristiana, e vabbé, questo vuol dire essere pronta a governare davanti alla tempesta che sta arrivando?». E all’ex 5 stelle: «È arrivato al governo che non sapeva niente ma ha preteso due ministeri. Io non la capisco la tracotanza di questi».

A Letta ancora una stoccata: «Vuoi dividere l’Italia tra rossi e neri, ma non eri un democristiano? Parli degli occhi di tigre ma in realtà sei strabico, non vedi che l’Italia è diversa da come la disegni». La sintesi: «Io e Renzi ci sentiamo in grado di governare, l’abbiamo fatto e abbiamo due ego piuttosto ingombranti, ma pensiamo che Draghi lo faccia meglio di noi. Non vuole? Ci lavoreremo…».

Applausi scroscianti dalla platea riunita ai Superstudio nel centro di Milano, cuore del fuorisalone della Design week, a un passo dal silos di Armani. I presenti sono circa 5mila, molti restano fuori. L’allestimento ricorda la notte dei telegatti, look perfetti tranne Calenda col solito camicione di due taglie più largo.

Carfagna e Gelmini gridano «vergogna» a chi ha fatto cadere Draghi, il leader rincara: «Il metodo Draghi è stato quello dire dei sì e de no chiari, una cosa rivoluzionaria in questo paese. Berlusconi, Salvini e Conte non valgono una sua unghia del piede». Ancora sul leghista: «Voleva scambiare Mattarella con Putin, in un paese che ha il senso della patria non avrebbe più potuto rimettere piede». Un fiume in piena: «Cara Giorgia, dici che non vuoi fare altro debito? Allora chiudi Salvini in una stanza fino alle elezioni, le sue proposte valgono 180 miliardi di debito».

Calenda prova a disegnare il partito che dovrebbe nascere dalla fusione con Renzi: cita Sturzo, Rosselli, Einaudi, Mazzini, Bobbio. Si domanda incredulo: «Ma se agli italiani piacciono Draghi e Mattarella perché poi hanno votato questa gente? M5S e Lega sono crollati appena arrivati al governo, sarà lo stesso con Meloni». «Uno statista deve rendere popolari le scelte giuste», assicura, poi spiega la sua ricetta per le opere controverse: «Una volta ascolti le poteste, anche due, poi alla terza dichiari il sito di interesse nazionale e realizzi l’opera in questione. Come abbiamo fatto col Tap e ora va fatto coi rigassificatori».

Così intende fare con le centrali nucleari: «Il populismo è iniziato coi referendum sul nucleare, l’unica fonte di energia costante a emissioni zero». Sul reddito di cittadinanza c’è l’unanimità in sala: «Va abolito, è ingiusto e immorale, ai giovani va data istruzione e opportunità di lavoro». E ancora: «Come adulti dobbiamo imparare a proibire, insegnare il valore del dovere: non possono stare tutte quelle ore sul cellulare». Renzi parla poco prima di lui: «Anche stavolta dobbiamo salvare il paese, ormai è il nostro mestiere. Da una delle peggiori destre europee e dalla sinistra dei niet».

Anche Renzi è preoccupato dall’appello al voto utile di Letta: «Dice che chi vota noi vota Meloni? Povero Enrico, capiamolo, ha avuto un’estate difficile». Calenda gli dà manforte: «Il voto utile non esiste, ci sono quattro coalizioni, per battere la destra non basta dire “mamma i fascisti”, servono idee migliori».

A Meloni che evoca il presidenzialismo, Renzi lancia una sfida: «Va bene, eleggiamo direttamente il premier, ma anche il presidente della commissione europea». Calenda non rinuncia a siparietti con l’alleato: «Adesso chiudo, vedo che Matteo si innervosisce». E l’altro: «La politica è generosità, sono contento che a guidare ci sia Carlo». Poi la confidenza autobiografica: «Un amico sacerdote mi diceva sempre: “Rilassati, Dio esiste ma non sei tu”».

Sul palco sfilano le ministre, da Elena Bonetti a Gelmini e Carfagna che grida. Boschi non ha questo onore. Il leader di Azione ricorda ripete un mantra il suo exploit alle comunali: « A Roma siamo partiti al 5% e abbiamo chiuso al 20. Già abbiamo superato Forza Italia, diamoci una mossa per arrivare lì dove dobbiamo arrivare…».

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