Nessuna firma, nessun patto, nessun incontro. Se ne riparla oggi, quando i due promessi sposi per forza, Calenda e Renzi, si vedranno di persona e cercheranno di siglare un accordo matrimoniale modello divi di Hollywood, di quelli nei quali fidarsi è bene ma non farlo è meglio. In realtà non si tratta di un rinvio. L’incontro di ieri non era mai stato messo in agenda. Calenda ha fretta ma Renzi no ed è lui a prendersela calma: «Visto il teatrino deludente delle ultime settimane se dobbiamo fare un accordo bisogna farlo in modo serio». Il leader di Iv sa che il tempo gioca a suo favore grazie a quell’esenzione dalla raccolta firme che solo lui può garantire al capo di Azione per il quale ogni giorno che passa rende l’eventuale impresa più difficile.

La lista sarà unica, con nome ancora da definirsi e i simboli dei due partiti all’interno. Sul tavolo delle trattative ci sono i soliti eterni problemi di ogni alleanza: la spartizione dei collegi e la leadership. Per i due capi del Terzo Polo la materia rovente non sono i collegi uninominali. Qui entrambi sanno che resteranno comunque a secco e dunque presenteranno candidature equamente divise tra i rappresentanti dell’uno e dell’altro partito. Il problema sono invece le liste proporzionali. Secondo i calcoli del Pd i terzopolisti possono arrivare a eleggere sei senatori e una quindicina di deputati. Il conto è probabilmente viziato al ribasso ma non di moltissimo. La decisione su chi provare a far entrare in parlamento dei due gruppi , senza contare Pizzarotti, è la più delicata.

La questione del candidato premier, o meglio del testimonial principale, verrà dopo. «La leadership è l’approdo finale», sentenzia Renzi: «Uno dei due o tutti e due deve fare un passo indietro». L’ipotesi di affidare la bandiera a Mara Carfagna, da sola oppure in tandem con la ministra targata Iv Elena Bonelli, sembra sfumata. Da Azione assicurano che non è mai stata davvero presa in considerazione. Forse è vero ma è anche vero che se oggi i due galli non troveranno l’intesa su chi debba dar prova di «generosità», come la chiama Renzi, l’opzione potrebbe diventare meno fantasiosa per causa di forza maggiore.

Sono particolari. Salvo colpi di scena sempre possibili nella crema impazzita della politica italiana l’accordo si farà perché entrambi ne hanno bisogno e perché, scontro di personalità a parte, per cogliere le differenze tra le due formazioni ci vuole il microscopio. Calenda è cauto ma chiaramente ottimista: «Sono molto prudente, mi è appena saltato un matrimonio. Ma l’accordo sta andando nel verso giusto. Abbiamo programmi comuni e l’obiettivo comune di mantenere Draghi a Chigi».

Draghi, Draghi. Anche per Renzi la posta in gioco è la permanenza del premier a palazzo Chigi: «Se il Centro va bene al proporzionale Draghi resta lì». Sarà difficile, anzi impossibile, spiegare agli elettori perché partiti che hanno il nome di Draghi sempre in bocca e confermerebbero l’attuale premier senza un secondo d’esitazione, come i due gruppi in questione, il Pd, +Europa e Impegno civico, si ritrovino l’uno contro l’altro armati nelle urne. Il leader di Iv sa che quello è il fianco esposto di Letta e affonda la lama accusandolo di aver avvantaggiato la leader di FdI rinunciando alla coalizione “draghiana” per amore di Fratoianni e Bonelli: «Sapevo che era amico di Meloni, ma non credevo così tanto».

Letta prova a smarcarsi attaccando a testa bassa la rivale numero uno ma, a conferma del momento non precisamente smagliante, sbaglia i toni: «Cerca di incipriarsi ma dati i rapporti con Vox e Orban non è facile». Sin troppo ovvia la replica: «Misogino». In realtà Meloni si gode la candidatura ormai ufficiale alla premiership conquistata a colpi di sondaggi, anche se questo scontro tra una candidata premier reale e uno solo evocato come Draghi ha molto di surreale. Gli attacchi personali del principale leader del campo avverso sono da questo punto di vista manna dal cielo e lo stesso Berlusconi è ormai esplicito: «Giorgia sarebbe un’ottima premier». Lui, intanto, ha deciso senza sorprendere nessuno di candidarsi a palazzo Madama e si può scommettere che considererebbe Silvio un ottimo presidente del senato.