La notte di Giggino è finita all’ora di pranzo del giorno dopo, quando ha trovato le parole per commentare la sua sconfitta su Facebook: «Gli Italiani non hanno considerato abbastanza maturo e valido il nostro progetto politico. E su questo la nostra comunità dovrà aprire una riflessione». Di quale comunità stesse parlando, dal momento che la sua lista ha a stento superato lo 0,5%, non è chiaro. L’unica cosa certa, in compenso, è che Di Maio non farà parte della XIX legislatura. È stato abolito. Niente seggio, niente incarichi di governo all’orizzonte, nessun ruolo politico possibile. L’ex ministro degli Esteri, leader e poi capo della più consistente scissione del M5S, tecnicamente, adesso è un paria. Ai saluti, tra gli altri scissionisti, anche Lucia Azzolina e Vincenzo Spadafora, che quantomeno potranno dire di aver tenuto fede al proposito originario di fare due mandati e poi tornare alla vita civile. L’unico a salvarsi, per quello che riguarda la comunità di cui sopra, è Bruno Tabacci, che si appresta ad affrontare la sua settima legislatura.

PER IL RESTO l’elenco di quelli che non ce l’hanno fatta – non molto elegantemente detti trombati – è lungo. Storie politiche più o meno gloriose finite a sbattere contro risultati poco soddisfacenti e, soprattutto, contro il taglio dei parlamentari. Il conto sugli eletti nei collegi plurinominali è in corso, tra calcoli e ripartizioni molte caselle sono incerte, qualche speranza è legittimo coltivarla per chi ancora non ha visto spuntare il proprio nome nell’elenco degli eletti.

Chi di certo non ci sarà è Emma Bonino: fatalmente azzoppata dalla candidatura di Carlo Calenda in persona, il collegio è andato perduto di un soffio (lo ha vinto la «no gender» Lavinia Mennuni di FdI) e +Europa non ha superato la soglia di sbarramento per appena 10mila voti (annunciato ricorso, ovviamente). Ai saluti pure Monica Cirinnà, facile profeta quando aveva definito il collegio romano in cui era candidata «ostile ai suoi temi». I militanti del Pd non furono felicissimi di un’uscita che certo non ha facilitato la vita di quartiere della loro sezione, ma alla fine, in effetti, non c’è stata partita: 21% lei, 49% Ester Mieli della destra.

A MODENA, Aboubakar Soumahoro si è fatto sconfiggere all’uninominale, ma è stato recuperato nel listino proporzionale. Comincia con una striminzita salvezza la carriera di Mara Carafagna dentro Azione: staccatissima all’uninominale a Napoli (stesso collegio di Luigi Di Maio) e recuperata in Puglia, la sua uscita da Forza Italia non ha nemmeno scalfito la corazza del partito berlusconiano, che si piazza davanti all’alleanza Renzi-Calenda e arriva a un’incollatura percentuale dalla Lega.
In Toscana escono battuti sia Andrea Marcucci sia Stefano Ceccanti sia Enrico Rossi, mentre in Emilia Romagna Pippo Civati pure non sarebbe tra gli eletti.

Vittorio Sgarbi, chiamato a misurarsi con Pier Ferdinando Casini a Bologna, è stato in vantaggio fino almeno a un quarto dello scrutinio, poi però ha ceduto il passo come da previsioni della vigilia. Addio al Palazzo anche per Simone Pillon della Lega, secondo nel listino umbro della Camera e vittima anche lui del tracollo leghista. Il catto-integralista, comunque, giura che continuerà a impegnarsi per il centrodestra in altre forme, «come dio vorrà».

NIENTE DA FARE anche per Gianluigi Paragone: l’ex senatore, eletto nel 2018 nelle liste del Movimento Cinque Stelle, non è riuscito a traghettare la sua Italexit sopra la soglia di sbarramento e saluta così lo scranno parlamentare: senza rimpianti ma, speriamo, almeno con qualche rimorso.

E mentre dalle parti di Fratelli d’Italia si brinda a numeri mai così alti, altrove sono decine i parlamentari uscenti che fanno di conto, aspettano e sperano di avercela fatta. Ci vorrà ancora qualche giorno per avere i dati ufficiali, di certo molti avranno maledetto il momento in cui hanno detto sì al taglio dei parlamentari. Tesoro, mi si è ristretto il Palazzo.