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Caccia alla preda più grossa del Russiagate

Caccia alla preda  più grossa del Russiagate

Flynn-Trump La decisione di collaborare da parte dell'ex consigliere per la sicurezza del presidente rende intoccabile il procuratore Mueller. E ora potrebbe toccare a Jared Kushner

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 2 dicembre 2017

Michael Flynn è il quarto pesce grosso finito nella rete del procuratore speciale Robert Mueller, al quale sono affidate le indagini sul cosiddetto «Russiagate». Dopo George Papadopoulos, Paul Manafort e Rick Gates. Il più grosso. È la preda che mette al sicuro la sorte del «cacciatore», Mueller, e che mette davvero a rischio quella della sua vera preda, il presidente Donald Trump.

Arrivati a questo punto è difficile e improbabile che Mueller possa essere fired, licenziato, come esigono da tempo i pasdaran di Trump guidati da Steve Bannon, che pur se allontanato dalla Casa Bianca figura ancora tra i consiglieri del presidente. Con la disponibilità di Flynn a vuotare il sacco in cambio dell’impunità per il reato di spergiuro di fronte all’Fbi, Mueller diventa intoccabile.E può proseguire nelle sue indagini, assistito dal suo gruppo di inquirenti ben addestrati alla caccia a mafiosi e corrotti.

Andando avanti l’indagine non potrà non tirare dentro Jared Kushner, il fidato genero del presidente, il vero numero due della Casa Bianca. Così il cerchio si stringerà sempre più intorno a Trump.

Flynn è stato il più leale degli assistenti di Trump, il suo più solido sostegno nella campagna elettorale, anche nei momenti più duri quando l’establishment repubblicano gli stava voltando le spalle, in particolare in quello che oggi si potrebbe definire il «Weinstein moment» di Trump, l’irrompere di rivelazioni a luce rosse sul passato dell’allora candidato repubblicano.

Flynn fu ricompensato con la nomina e consigliere per la sicurezza nazionale, incarico che poi dovette lasciare quando furono rivelati i suoi contatti – nel periodo d’interregno tra l’amministrazione uscente e quella entrante – con emissari russi.
Avrebbe tenuto duro, era la convinzione di Trump, che con Flynn ha continuato a restare in contatto.

Quel che dirà Flynn sarà particolarmente imbarazzante per Trump proprio per l’innegabile relazione personale tra i due. Il teorema del Russiagate prende dunque corpo, non è più una fissazione del New York Times e del Washington Post e delle tv  liberal.

Quali saranno le prossime puntate del serial che è iniziato con l’elezione stessa di Trump è difficile dirlo, soprattutto se si allude alla possibilità che sfoci in una procedura di impeachment del presidente.

Dal punto di vista giudiziario ci vorranno nuove e importanti prove di un coinvolgimento diretto di Trump nel Russiagate, in particolare nel periodo in cui era già presidente-eletto.

Manca un anno alle elezioni di medio termine. Con un presidente già anatra zoppa dopo neppure un anno di mandato, sarà una prova particolarmente ardua per i repubblicani che rischiano di perdere la maggioranza, probabilmente al senato. Allora potrebbe farsi più concreto lo scenario di una messa in stato d’accusa del presidente oggi impensabile.

Nel frattempo, è evidente il colpo che subisce Trump dalla resa di Michael Flynn. Come è altrettanto evidente la pericolosità di un presidente degli Stati uniti che si muove con sfacciata spregiudicatezza nei momenti in cui è più sotto pressione. E che potrebbe essere tentato di fare lo zapping – come fa compulsivamente guardando la tv – spostando fuori degli Usa la sua crisi.
In Nord Corea e Iran staranno seguendo con molto interesse quest’ultima puntata del Russiagate.

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