Le Forze armate israeliane bombardano edifici civili a Gaza senza disporre di informazioni d’intelligence sulle postazioni di Hamas o di altre organizzazioni armate. Joe Biden lo ha sempre saputo, almeno dal 27 ottobre, rivelava ieri il Washington Post riferendo del contenuto di un incontro avuto dal presidente americano con un gruppo di esperti e funzionari della politica estera Usa. Rivelazioni che si abbinano all’ultimo rapporto dell’associazione Breaking the Silence – riunisce militari israeliani che «rompono il silenzio» sui crimini contro i palestinesi – che demolisce «il mito israeliano dell’Esercito Morale» e spiega le stragi di civili con la violazione consapevole di ogni regola di ingaggio.

Gli abitanti di Gaza non hanno bisogno di leggere rapporti per sapere che i presunti «attacchi mirati contro obiettivi di Hamas» invece colpiscono tutti. Vivono sulla loro pelle un’offensiva militare che ha ucciso circa 32mila persone – 2/3 dei quali donne e bambini – senza dimenticare migliaia di dispersi e decine di migliaia di feriti. Quanto è accaduto due giorni dentro e intorno all’ospedale Shifa di Gaza city ha offerto una dimostrazione pratica di cosa avverrà nei prossimi giorni e mesi se non sarà proclamato un cessate il fuoco permanente nella Striscia: «operazioni mirate» israeliane improvvise con effetti devastanti e letali. Non c’è un bilancio definitivo dei civili rimasti uccisi nel raid di lunedì nel più importante degli ospedali della Striscia. I giornalisti che erano sul posto però confermano che sono numerosi i non combattenti uccisi o feriti intorno e dentro al complesso ospedaliero. L’esercito israeliano, che ha spianato anche il cortile che ospitava migliaia di sfollati, non parla di civili, sostiene di aver ucciso oltre «50 combattenti di Hamas», tra cui Faiq Mabhouh, un alto funzionario del movimento islamico, e di «aver catturato180 sospetti». A Gaza city altre case sono state rase al suolo e sono morte per le bombe 15 persone di una stessa famiglia. Rafah sul confine con l’Egitto, avvertono i palestinesi, è sistematicamente sotto attacco: nelle ultime ore 14 persone sono state uccise.

L’uccisione di Faiq Mabhouh rientra nella caccia ai dirigenti di Hamas incaricati di gestire gli aiuti umanitari e ai comandanti e agenti della polizia di Gaza. Il funzionario di Hamas, non in clandestinità, era responsabile del coordinamento della distribuzione dei generi di prima necessità. La politica israeliana di eliminazione di ogni apparato di Hamas, anche non militare, di fatto impedisce la protezione dei camion con gli aiuti umanitari provenienti dal sud e la distribuzione organizzata del cibo alla popolazione. Il gabinetto di guerra guidato da Netanyahu, spiega il giornalista Ahmed Rizek (nome di fantasia per ragioni di sicurezza) «vuole che siano guardie private, reclutate da famiglie locali, e non i poliziotti di Hamas a scortare gli autocarri che dal valico di Kerem Shalom vanno al nord. Sino ad oggi però ben poche persone si sono dette pronte a farlo. Nessun palestinese vuole e può lavorare per Israele. Anche da questo sono nate le stragi degli affamati del 29 febbraio e di qualche giorno fa alla rotonda Kuwait».

Il 24 febbraio, secondo il sito Axios, l’Amministrazione Biden aveva chiesto a Israele di non colpire la polizia civile perché accelerando il crollo dell’ordine pubblico avrebbe provocato il caos e, quindi, la fine della distribuzione ordinata delle razioni di cibo. «Ora – dice Ahmed Hijazi – per gli autisti senza scorta è quasi impossibile raggiungere i centri di distribuzione e le migliaia di persone che assaltano gli autocarri finiscono per avvicinarsi troppo alle postazioni dei soldati israeliani che aprono il fuoco». Israele invece, contro le posizioni degli Usa, tiene nel mirino comandanti e agenti della polizia di Gaza. L’ultimo è stato ucciso ieri a Nuseirat.

L’attacco a Rafah intanto resta sul tavolo dei comandi militari israeliani. Netanyahu ha acconsentito a inviare, la prossima settimana, una delegazione a Washington per discutere con gli Stati uniti i piani di invasione della città, dove sono rifugiati oltre un milione di sfollati. Biden ha tentato nuovamente, invano, di dissuadere Netanyahu dal lanciare l’offensiva durante il colloquio telefonico di lunedì, ma il primo ministro israeliano farà ciò che vuole, come succede dal 7 ottobre. In ogni caso gli Stati uniti continuano a difendere il premier israeliano e il suo governo dalle accuse internazionali per la grave crisi umanitaria a Gaza – la carestia è imminente, avverte un rapporto dell’Onu di due giorni fa – causata dall’offensiva israeliana. Il portavoce del Dipartimento di Stato Vedant Patel ha detto che gli Usa non hanno le prove che Israele stia usando la fame come arma di guerra. Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ieri ha accusato Israele di aver ignorato la sentenza di gennaio della Corte internazionale di Giustizia dell’Aia volta a prevenire «atti di genocidio». «Ora vediamo la fame di massa e la carestia davanti ai nostri occhi – ha detto Pandor in un’intervista – Come umanità, dobbiamo guardare a noi stessi con orrore e sgomento ed essere preoccupati di aver dato l’esempio». Parole non recepite dal Consiglio europeo che nella riunione di domani e venerdì, secondo una bozza di risoluzione circolata ieri, chiederà solo una «pausa umanitaria» e non il cessate il fuoco a Gaza.