Ci sono due buone notizie nell’inchiesta veronese a proposito delle violenze brutali commesse nella Questura locale. La prima è che ci sono poliziotti i quali, nel solco della legalità e del mandato loro assegnato dalla Costituzione, hanno indagato sui loro colleghi, presunti torturatori. La seconda buona notizia è che ancora possiamo ascoltare la parola tortura nelle stanze dei nostri tribunali.

Sono trascorsi alcuni mesi da quando Fratelli d’Italia ha presentato una proposta di legge per cancellare il reato di tortura dal nostro codice penale, dove era stato introdotto solo nel 2017, dopo decenni di gravi inadempienze. Fortunatamente la discussione parlamentare non è ancora iniziata. Il reato non è stato ancora cancellato e non è stato neanche modificato, così come auspicato da membri del Governo.

Avremmo voluto dare una terza buona notizia. Purtroppo, però, questa non si è avverata. Avremmo voluto scrivere che Giorgia Meloni, contraddicendo sue vecchie dichiarazioni, si fosse assunta l’impegno a non mettere in discussione quella che è una legge di civiltà. Avremmo voluto sentire parole nette contro tortura e razzismo, rassicurando tutti coloro che sono preoccupati da un ritorno alla pre-modernità giuridica. Avremmo voluto sentire parole di ricordo di quei «patrioti» che sono stati torturati nelle carceri fasciste e che hanno contribuito a scrivere l’articolo 13 della nostra Costituzione.

Queste parole non le abbiamo invece sentite. C’è chi a destra ha evocato la presunzione di innocenza a proposito degli agenti sottoposti a misura cautelare per le violenze odiose di cui sono accusati. È questo un principio sacrosanto che dovrebbe sempre informare il nostro sistema giudiziario. Dovrebbe però valere sempre: per i ricchi e per i poveri; per gli italiani ma anche per gli stranieri. Oggi, non di rado, è un principio che funziona a velocità differente, così negando un altro principio che nelle aule di giustizia trova difficile attuazione, ossia che la legge è uguale per tutti.

Dunque, neanche i fatti di Verona hanno smosso le coscienze di chi vorrebbe depenalizzare la tortura, così mandando all’aria processi in corso come quelli per le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. È di qualche giorno fa la notizia che uno dei detenuti che ha testimoniato al processo si sarebbe tolto la vita dandosi fuoco nell’istituto penitenziario di Pescara.

Quelli per tortura sono processi difficili, perché richiedono che si rompa lo spirito di corpo, che costituisce ila vera e propria malattia degli apparati di sicurezza. Per questo siamo grati a chi a Verona, indagando sui propri colleghi, e non sarà stato facile neanche dal punto di vista umano, ha infranto un modello corporativo distorto che fa male alla democrazia.

La tortura è un crimine contro l’umanità. Papa Francesco, che ha dedicato il mese di giugno alla lotta contro la tortura, lo ha definito il crimine dei potenti, al pari della corruzione. Tortura e corruzione fanno parte dello stesso campo semantico. Eppure c’è chi vorrebbe depenalizzare la prima, dopo avere invece criminalizzato i rave parties e aperto all’ipotesi della qualificazione della gestazione per altri come crimine universale. Il tutto nel nome di un diritto penale allo stesso tempo etico ed immorale. Chiunque abbia voce deve manifestare la propria indignazione verso chi vorrebbe lasciare impuniti i torturatori.

*Presidente Antigone